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La nuova stagione di W è un governo balneare a febbraio

31/01/2008

Roma. Dalle parole del capo dello stato, pronunciate martedì sera al termine delle consultazioni, erano già emerse le seguenti, incontrovertibili verità: 1) la situazione è complessa; 2) la questione è politica; 3) occorre un supplemento di riflessione. Niente di strano. Del resto, non si elegge presidente Giorgio Napolitano per fare la rivoluzione culturale. Ma Walter Veltroni – ecco il punto – forse, in cuor loro, almeno uno o due di quei tre milioni e mezzo di elettori che l’hanno votato alle primarie, magari un pochino sì, uno spicchietto di rivoluzione culturale se l’aspettavano. Non era forse il suo slogan: “La nuova stagione”? E allo sbocciare della primavera veltroniana – “la primavera di Prada”, già ironizzavano, cinicamente, i vecchi burocrati di partito – doveva seguire, come recitava lo slogan successivo della sua campagna, “una nuova Italia”. S’intendeva dunque un governo balneare della non-sfiducia, guidato da Franco Marini?
Eppure è andata proprio così. Ieri pomeriggio, infatti, il presidente della Repubblica ha conferito a Marini l’incarico di “verificare il consenso su un preciso progetto di riforma della legge elettorale”. Non l’incarico di formare un nuovo governo, dunque. Non ancora. Nei prossimi giorni Marini dovrà verificare, esplorare, consultare. E Veltroni, come al solito, aspettare. Avrebbe potuto fare come suggeriva il Foglio: chiedere per sé l’incarico di formare il governo, con Gianni Letta vicepremier, per varare una nuova legge elettorale e andare al voto. In fondo, Veltroni è il segretario del principale partito della maggioranza (o quel che ne resta). Se ritiene che occorrano un nuovo governo e una nuova legge elettorale frutto di un accordo bipartisan – perché questo è il supremo interesse del paese – dovrebbe farsi avanti, sfidare Silvio Berlusconi a fare altrettanto, affermare la sua leadership non solo dinanzi al centrosinistra (o quel che ne resta) ma dinanzi all’Italia. Di tutto lo si sarebbe potuto accusare, se avesse assunto una simile iniziativa, ma non di scarsa coerenza, visione, audacia. Giocare al fantagoverno in un’intervista estiva dichiarando che si vorrebbero Gianni Letta e Veronica Berlusconi in squadra può essere un’utile provocazione, ma se alla prima curva si scende dall’auto per cedere il posto a Franco Marini – per un “incarico finalizzato” in vista di un possibile governo balneare, per di più a febbraio – la svolta verso il teatro dell’assurdo appare inesorabilmente imboccata.
Dopo avere conferito a Veltroni il preincarico di segretario del Pd, in piena campagna per le primarie, Massimo D’Alema spiegò la sua scelta con queste parole: “Ero e sono sempre più convinto che Walter fosse la personalità che meglio era in grado di fare innovazione senza invenzione”. Il più capace, cioè, di “rinnovare il nostro sistema politico senza snaturarci e sradicarci dalle nostre tradizioni culturali”. All’indomani della trionfale elezione di Veltroni a segretario, il 15 ottobre, Ezio Mauro ne elogiò in questi termini le qualità: “Un professionismo con tocchi efficaci di dilettantismo”. Dotato cioè di “un orizzonte non più ideologico e tuttavia mitologico, una propensione dichiarata all’innovazione”.
Dal 15 ottobre a oggi, Walter Veltroni ha fatto del suo meglio per innovare e per inventare, sradicando quel che c’era da sradicare, ma finendo regolarmente impigliato tra i rovi. Doveva fare un partito all’americana, senza correnti e senza burocrazie, se non proprio senza tessere, e si sa com’è finita (con uno statuto in cui sarà prevista l’elezione del segretario e della direzione attraverso un sistema a doppio turno con sbarramento). Doveva aprire una nuova era siglando un grande patto bipartisan con Silvio Berlusconi per una legge elettorale proporzionale con effetti maggioritari (contro l’asse D’Alema-Marini-Udc-Rifondazione sulla legge tedesca) e adesso appoggia l’incarico a Marini, voluto da D’Alema, appoggiato da Rifondazione e pure da spezzoni dell’Udc, con il compito di “verificare il consenso su un preciso progetto di riforma della legge elettorale” (chissà quale).
L’amara verità è che persino Veltroni, proprio come il senatore Nuccio Cusumano, appare ormai prigioniero delle sue idee. Forse è vero che tutto, anche l’idea migliore, “lentamente muore”, come recitava il Neruda apocrifo citato da Clemente Mastella durante l’ultimo atto della crisi che ha abbattuto il governo Prodi. “Dico solo che le persone perbene non se lo meritavano – ha scritto a caldo, sul suo blog, Gianni Cuperlo – e a dirla tutta non se lo meritava neanche Neruda”. Ma forse la verità è che non se lo meritava Veltroni, un regalo simile. Doveva fare la rivoluzione democratica a colpi di “vocazione maggioritaria”, discontinuità, editti di Orvieto (“Il Pd si presenterà con le liste del Pd”, aveva detto) e ora – dopo essersi preso gratis le accuse di traditore e carnefice del governo Prodi – fa dire a Goffredo Bettini, sull’Unità di ieri, che “l’espressione va spiegata”, che “non abbiamo una pretesa boriosa di voler fare tutto da soli”, che insomma s’intendeva soltanto sottolineare la “necessità di ripartire dai programmi”. E lo stesso Veltroni, a sera, rassicura i suoi parlamentari smarriti. “Il nostro obiettivo non è la solitudine”, dice. Non abbiate paura. Amiamoci e partite.
E così, proprio quando Barack Obama comincia a vincere sul serio, incassando pure l’appoggio dei Kennedy – e il cerchio si chiude, si potrebbe dire, e finalmente il segretario del Pd potrebbe rispolverare la sua prefazione a “L’audacia della speranza”, il libro di Obama – Veltroni si affida invece all’audacia di Giorgio Napolitano e alle verifiche di Franco Marini. Tutto più che comprensibile, per carità, ma difficilmente compatibile con le parole di ieri sull’innovazione, il sogno, la discontinuità con il governo Prodi. “Mi sono ispirata a un gioco che faccio con mia figlia – confida Giovanna Melandri, in un’intervista a Donna Moderna che uscirà oggi – quello che ti chiede: se fossi un albero come saresti, se fossi un animale cosa faresti? Per più di un anno e mezzo ho lavorato come se facessi parte di un governo normale”. Parole sincere. Ma per l’imminente campagna elettorale, a questo punto, bisognerà forse trovarne delle altre. (il Foglio, 31 gennaio 2008)

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