Non è Veltroni che applica male una linea giusta. E’ la nuova stagione che è finita dieci anni fa
La discussione attorno al Partito democratico e alla leadership di Walter Veltroni ruota da tempo attorno a passi falsi, contraddizioni, dichiarazioni inopportune o intempestive. Errori tattici, insomma, che amici e nemici rimproverano a Veltroni con crescente sconcerto. Avendo molti di loro sposato sin dall’inizio e con un certo entusiasmo la strategia del segretario, si capisce che la lunga serie di scelte che succesivamente si sono trovati a criticare non poteva non apparire loro sconcertante. Se una così buona ricetta – quella della “nuova stagione” – produce un risultato tanto infelice, devono aver pensato, la colpa non può che essere del cuoco. E così, adesso, Veltroni sconta con gli interessi tutta la benevolenza di cui ha goduto fino al giorno del voto. Se in campagna elettorale non c’era peccato che non gli venisse perdonato – a cominciare da una certa disinvoltura nell’uso dei sondaggi, un gioco che in altri tempi fu indicato come tratto distintivo del populismo berlusconiano – ecco che adesso, d’improvviso, non gliene passano una.
Quando però un’ottima ricetta si rivela sistematicamente foriera di disastri, più che maledire il cuoco, bisognerebbe rivedere gli ingredienti. Ma questo, a quanto pare, né Veltroni né i suoi attuali critici si sognano neanche lontanamente di fare, gli uni preferendo rimproverare al segretario mancanza di coerenza, coraggio o perizia nel perseguire la giusta linea della “nuova stagione”; l’altro oscillando vistosamente al vento di tante critiche, spesso contraddittorie, ma senza mai mettere apertamente in discussione quell’impostazione.
Eppure non è un caso, e nemmeno un semplice errore tattico, se Veltroni prima ha aperto la campagna elettorale contestando lo slogan del centrodestra “Rialzati, Italia” – perché “l’Italia non si deve rialzare, l’Italia è in piedi, sono in piedi gli italiani… è la politica che si deve rialzare” – e poi, subito dopo il voto, ha lanciato la petizione “Salva l’Italia”. Non era tattica, il ricorso alla retorica della società civile sana e forte (l’Italia che produce, quella che non si deve rialzare, perché è già in piedi) contrapposta a una politica malsana, fonte di burocrazia e corruzione. Era invece il cuore dell’ispirazione che ha guidato la costruzione della leadership di Veltroni – e quindi del Pd – riflettendosi chiaramente nel programma e in tutta la campagna elettorale. Esempio ancora attuale: Alitalia. Comunque la si pensi sull’esito della vicenda, infatti, non può non colpire una campagna elettorale in cui Silvio Berlusconi parla della necessità di mantenere una compagnia di bandiera e Veltroni gli risponde che “non si può essere liberisti a giorni alterni”. Questa è stata l’ispirazione di fondo del Pd veltroniano, culminata nella decisione di candidare come capolista in Veneto Massimo Calearo, e cioè l’ex presidente di Federmeccanica reduce da una durissima vertenza con i metalmeccanici, che a Ballarò loda “San Clemente” per aver fatto cadere il governo Prodi e auspica che a nessuno venga in mente di “ripescare” Vincenzo Visco in lista, per poi diffondersi in un lungo elogio del modo di condurre gli accertamenti fiscali in Slovacchia.
Social housing per il proletariato
E così, mentre Berlusconi abbandona per la prima volta il ritornello del “meno tasse per tutti” – e mentre Giulio Tremonti ad Anno Zero tuona contro il “mercatismo” che riduce le povere famiglie sul lastrico – il programma del Pd è tutto un “liberare le energie” e gli spiriti animali del capitalismo. Con punte di autolesionismo comunicativo davvero inarrivabili, come nel paragrafo dedicato al “social housing” (“edilizia popolare”, evidentemente, suonava poco innovativo) o nei volantini sulle “dodici azioni di governo” – sintesi divulgativa di quello stesso programma – la prima delle quali s’intitola non a caso “Stato: spendere meglio e meno” ed è così illustrata, per punti, alle masse: “Benchmarking sistematico e generalizzato; Valutazione, per premiare e sanzionare; Contratti pubblici rinnovati a scadenza e premi solo a chi consegue gli obiettivi, mobilità e turn over selettivo e parziale; No a spoils system e automatismi, sì alle centrali di acquisto…”.
Il problema di fondo che riguarda la leadership di Veltroni e l’identità del Pd non è dunque la dichiarazione di Paola Binetti o di Antonio Di Pietro, le correnti, le tessere o le alleanze. Il problema è che dopo avere giocato a fare i Tony Blair, peraltro in ritardo di dieci anni, non è possibile ricominciare dall’autunno caldo e dalle lotte operaie senza nemmeno passare dal via. E cioè da una discussione seria, che non si risolva nei soliti giochi di parole tipo “vogliamo più stato e più mercato” e da cui emerga definitivamente, se non un solo leader, almeno una sola linea. (il Foglio, 3 settembre 2008)
qualcuno vorrebbe ogni tanto sentire da giovani intellettuali che dichiarano a cuor leggero di essere “di sinistra”, che criticano la politica del Pd in modo evenemenziale, vale a dire nella sua navigazione giornaliera, che si auspicano riflessioni più approfondite, eccetera (tutte notazioni condivisibili e semmai troppo morbide), cosa sarebbe mai questa sinistra alla quale dichiarano di appartenere senza spirito di camerieri e se per caso se sia ancora presente qualche raro frammento nel Pd e su cosa il Pd dovrebbe riflettere e non solo il Pd, ma tutti quelli che restano attaccati a un termine SINISTRA cui è difficile oggi attribuire contenuti.
cosa dovrebbe PROPORCI (non prometterci come fanno veltroni/berlusconi) oggi la sinistra, quale FUTURO configurare?
quale modello di società (di mondo? di europa? di occidente?) dovrebbe disegnare?
per realizzarlo con chi?
quale rapporto col problema dei diritti civili?
con quello della scienza?
della chiesa?
essere cronisti va bene, può andare.
ma dichiarare che se non è il cuoco (ma è anche il cuoco) è la ricetta che non va bene, senza nominare quali potrebbero essere gli ingredianti sbagliati coi quali il piatto viene male, senza dire quale piatto (dio, le metafore) si dovrebbe cucinare al posto di quello, disgustoso, che il Pd e il suo cuoco ci servono tutti i giorni…
insomma, la sensazione è che il vuoto sia ovunque, caro cundari.