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Nel Pd avanza un “documento unitario” per disinnescare la direzione

19/12/2008

Roma. All’ora in cui questo giornale è andato in stampa, la tormentata preparazione della riunione di oggi – la direzione del Pd annunciata da giorni come arena della decisiva resa dei conti tra Walter Veltroni e i suoi oppositori – è finita come tutte le altre volte: con un accordo.
La relazione del segretario non sarà messa ai voti. Veltroni non otterrà dunque quel “voto di fiducia” tante volte chiesto dai suoi sostenitori, a questa come a tutte le precedenti riunioni-rese dei conti (per essere precisi, sarebbe la quarta volta). In cambio, però, Veltroni otterrà qualcosa di molto simile a quei pieni poteri sulle realtà locali investite dagli scandali che Goffredo Bettini ieri ha chiesto per lui in un’intervista al Corriere della Sera. A siglare l’accordo sarà un documento unitario, frutto dell’infaticabile attività mediatrice di Piero Fassino. Al momento in cui questo giornale va in stampa, però, la mediazione è in corso. E il documento è ancora in fase di rielaborazione e discussione, in un lungo giro diplomatico tra Dario Franceschini, Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema e Walter Veltroni.
L’esito più probabile resta comunque l’accordo, come da molti facilmente previsto, se non altro sulla base dei precedenti. Ma un accordo parziale. Anche perché negli ultimi giorni il clima non ha fatto che peggiorare. Persino su Facebook. Sulla pagina dell’addetto stampa del segretario Luigi Coldagelli, per esempio, ieri stava scritto: “Si augura che domani il suo capo meni. E pure di brutto”. E sulla pagina di un collega, che esprimeva auspici analoghi ai suoi, Coldagelli commentava in modo anche più deciso: “Mena mena, se nun mena je meno io”. Comunque si concluda la mediazione sul documento Fassino, le premesse per una conclusione unitaria non sembrano insomma delle migliori. Alto è il rischio che il voto sul documento unitario e la relazione conseguentemente non meno unitaria cedano il passo a una relazione tutta all’attacco, seguita da un dibattito altrettanto acceso, e forse, per la prima volta, persino da un voto che sancisca la divisione. O per meglio dire: le divisioni.
Da un lato stanno infatti Goffredo Bettini e Giorgio Tonini, che in questi giorni hanno pubblicamente sostenuto la linea della riscossa veltroniana (o del “secondo Lingotto”), a partire dall’assunto che la “questione morale” colpisce i residui dei vecchi partiti (Ds e Margherita), non la novità rappresentata dal Pd e dal suo segretario; dall’altro lato sta chi, pur essendo parte della stessa “maggioranza” (le virgolette sono d’obbligo, perché nessun voto, fino a oggi, ha mai sancito l’esistenza di maggioranza e minoranza) al coordinamento di mercoledì ha calorosamente invitato Veltroni a non andare su quella strada. E cioè Fassino e Franceschini. “Non cerchiamo alibi nel passato”, ha detto esplicitamente l’ex segretario dei Ds, che certo non poteva gradire di vedersi intestare pro quota la responsabilità dell’attuale situazione. E lo stesso vale ovviamente per Franceschini e i popolari.
Da parte sua, D’Alema ha deciso da tempo di smentire in ogni modo l’esistenza di una guerra tra veltroniani e dalemiani. A questo scopo non ha esitato a firmare un comunicato congiunto sulla “questione morale” assieme al segretario e ha evitato scrupolosamente qualsiasi presa di posizione men che allineata e coperta dietro l’insegna dell’unità e del superiore interesse del partito. E tuttavia né lui né gli altri membri della direzione che a lui fanno riferimento, alla riunione di oggi, sembrano intenzionati a restare in silenzio. Quello che diranno non è difficile intuirlo, essendo ampiamente note le loro opinioni su alleanze, vocazione maggioritaria, modello di partito e riforme istituzionali. Quanto però queste opinioni saranno espresse in forma di amichevoli esortazioni, e quanto invece nella forma di un attacco esplicito al segretario, dipenderà ovviamente da quello che dirà Veltroni. Ma in direzione ci sono anche Gianni Cuperlo e buona parte degli altri 54 parlamentari che con lui hanno firmato un appello assai critico con il segretario. E ci sono gli ulivisti, che al segretario hanno dichiarato guerra da tempo. E c’è chi, come Sergio Chiamparino e Marco Minniti, in questi giorni ha proposto un “gabinetto di crisi” che somiglia a un commissariamento del leader.
“In un partito dove c’è una solidarietà forte – dice Tonini – poi ci può anche essere un confronto serio sulla linea politica, sulle alleanze, sulle scelte strategiche”. E questo, stavolta, è probabile che ci sia. Quanto serio, difficile dire. (il Foglio, 19  dicembre 2008)

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