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L’autocritica di D’Alema

03/02/2009

Roma. “Ripensando alle esperienze di quegli anni e alle varie accuse che via via mi sono state mosse di inesistenti complotti, credo invece che questa critica colga nel segno e riproponga una grande questione reale”. Così scrive Massimo D’Alema nel suo contributo a un corposo volume di prossima uscita, “Pensare la politica – scritti per Giuseppe Vacca” (Carocci).
La critica è quella che proprio Vacca gli rivolse – “con comprensibile severità”, scrive l’ex ministro degli Esteri – in un saggio del 2001, “La proposta politica del Pds (1994-96)”. E cioè, parole di D’Alema, la critica di “essermi distaccato dal compito prioritario della costruzione di una grande formazione politica dotata di autonomia culturale e capacità di elaborazione e proposta”. Una scelta, scriveva Vacca nel 2001, che “avrebbe condizionato non poco la possibilità che il nuovo riformismo, che tra il ’94 e il ’96 era nato, si consolidasse e desse vita a quel vagheggiato ‘partito di governo della sinistra’ che ancora non c’è”. Questa è dunque la critica che secondo D’Alema oggi “coglie ancora nel segno”.
In un momento in cui certo non gli mancano le accuse di “inesistenti complotti”, come li definisce il loro supposto artefice, l’ammissione è certamente significativa. Non foss’altro perché in quel saggio Vacca si riferiva esplicitamente alla scelta, compiuta da D’Alema nel ’98, di assumere la presidenza del Consiglio, lasciando la segreteria dei Ds a Walter Veltroni. Qui dunque si sarebbe interrotta la costruzione di quella forza riformista che nel 2001 (e cioè al termine della segreteria Veltroni) ancora mancava all’Italia, secondo Vacca. E che secondo D’Alema anche oggi, con il Pd, stenterebbe a prendere forma.
L’intervento dell’ex ministro degli Esteri somiglia però in buona parte proprio a una rivendicazione del percorso compiuto dal Pds al Pd. Un percorso scandito dalle ricorrenti conferme di quanto la sinistra, da sola, non fosse sufficiente a raccogliere e rappresentare le forze del riformismo italiano, “che non possono riassumersi soltanto in quelle che si riconoscono nella famiglia del socialismo”. Ma proprio l’esperienza storica, prosegue D’Alema, consiglia di “ripensare alla vicenda di questi anni per evitare di incorrere in errori che potrebbero finire per fare anche del Partito democratico una occasione perduta”. Errori come “l’illusione che un grande partito possa nascere per effetto di una sorta di palingenesi o sull’onda della mobilitazione di una opinione pubblica democratica, che è certamente condizione necessaria ma non sufficiente”. Un grande partito – conclude D’Alema citando ancora Vacca – si fonda invece sulla capacità di esprimere una cultura politica, perché “il radicamento sociale di un partito dipende dalla sua funzione nazionale e la cultura politica costituisce la fonte per rigenerarla”.
Estremizzando, si potrebbe dire che con questo intervento D’Alema replichi all’accusa di suoi “inesistenti complotti” contro Veltroni riconoscendosi colpevole, semmai, dell’imputazione contraria: avere cioè “complottato” a suo favore, almeno nel ’98. Ma la stessa accusa gli è stata rivolta anche nel 2007, ad esempio dagli ulivisti, quando con Piero Fassino schierò di nuovo tutto il partito per Veltroni (sebbene, in quest’ultimo caso, il suo ruolo non fu certo altrettanto decisivo). Più semplicemente, si potrebbe dire invece che D’Alema abbia preso molto sul serio quel ruolo “culturale”, e non più dirigente, che si è da tempo assegnato con la sua fondazione. E che l’abbia fatto nella convinzione – autocritica per il passato ed eterocritica per il presente, come si vede – che in politica non esistano scorciatoie. Riconoscendo cioè che la costruzione di un grande partito riformista non fu aiutata dalla sua repentina ascesa al governo, come non lo è oggi dall’illusione di sempre nuove “palingenesi” che dovrebbero alimentare la mobilitazione permanente di una certa “opinione pubblica democratica”, peraltro sempre più ostile, e soprattutto sempre meno democratica. (il Foglio, 3 febbraio 2009)

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  1. quartieri permalink
    03/02/2009 13:45

    Ricordi male. D’alema nel 2007 è stato fondamentale per la candidatura di Veltroni alle primarie del PD. Fu lui a recarsi in Campidolgio a convincere Veltroni a candidarsi, e, avuta garanzia che Veltroni non avrebbe detto di no, Fassino, segretario dei DS, disse che Veltroni era il candidato DEI DS. E sempre D’alema , e Fassino in sub-ordine, è stato fondamentale per spegnare sul nascere le ambizioni di Bersani che, in seguito allo stop, mandò, non si è mai capito indirizzata a chi, una delle lettere più tragicomiche mai lette prima in politica.

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