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Il partito di Prodi

23/01/2008

Roma. Nessuna disponibilità a “soluzioni pasticciate”. Meglio uscire di scena “con dignità e coerenza”, anche se in Italia si tende a “scambiare la coerenza con l’arroganza”. Meglio le elezioni, insomma, “unica soluzione lineare”. Sono parole di Romano Prodi, ma non di questi giorni. Sono parole di dieci anni fa, pronunciate durante la crisi del suo primo governo, nell’ottobre del ’98. C’erano anche allora un referendum antiproporzionale promosso da Mario Segni, preoccupanti segnali di crisi nel Kosovo, sospetti sulle manovre di Massimo D’Alema e Franco Marini. E c’era anche allora, accanto a Romano Prodi, lo stratega delle grandi battaglie e l’amico dei momenti difficili: Arturo Parisi.
Dieci anni dopo, salvo il ruolo di Walter Veltroni, nulla sembra cambiato. Certo non è cambiata la linea del premier, che ancora una volta insiste per la soluzione più “limpida”, davanti alle Camere, contro il parere di quasi tutti i massimi dirigenti del Pd, a cominciare da D’Alema e Veltroni, che ieri mattina sono tornati a insistere con veemenza perché salisse al Quirinale e rassegnasse le sue dimissioni senza chiedere la fiducia delle Camere. “E’ bene che chi ha qualcosa da dire – afferma Parisi nel pomeriggio – la dica attraverso il voto, nelle sedi appropriate, assumendosi in pubblico le proprie responsabilità”. Ancora una volta, nel momento più difficile, Prodi ha deciso di giocare all’attacco. Alla Camera il premier pronuncia un discorso orgoglioso e fermo, dallo stile inconfondibilmente parisiano. “’In democrazia si può vincere o perdere – commenta l’ulivista Franco Monaco – ma conta soprattutto il modo”. La linea, insomma, è sempre quella espressa a suo tempo dal ministro della Difesa: “Meglio perdere che perdersi”. Meglio ancora, però, vincere. Tentare in tutti i modi di ritrovare la maggioranza perduta, prima del voto in Senato, fissato a giovedì sera. Di qui la fitta ragnatela di telefonate e incontri tra Palazzo Chigi e Palazzo Madama. Di qui le voci sempre più insistenti su possibili assenze o passaggi di campo dai banchi centristi. Di qui le parole di Prodi, che si dice convinto di farcela, anche questa volta. Di qui, infine, il suo discorso alla Camera, tutto teso a sottolineare i risultati del governo, a dimostrare che la coalizione ha funzionato egregiamente – a dispetto di Veltroni e della sua idea di presentarsi alle elezioni senza gli alleati – ma anche ad allontanare il più possibile le ipotesi di governo istituzionale. Obiettivo che Prodi sente di avere raggiunto quando il centrodestra comincia a contestarlo in Aula, salutando la conclusione del suo discorso con il grido: “Elezioni! Elezioni!”, mentre i deputati dell’Unione si alzano in piedi ad applaudirlo. Il grido del centrodestra è musica per le orecchie del premier. Ma è una musica che sarà presto interrotta dalle parole di Veltroni all’assemblea dei parlamentari del Pd, dove Prodi non manca di presentarsi, mentre il segretario sta parlando, raccogliendo un forte applauso. “Le elezioni sarebbero la scelta peggiore per il paese”, dice Veltroni. “Dobbiamo trovare la fiducia al Senato perché conviene a tutti, altrimenti si va alle elezioni”, dichiara poco dopo Rosy Bindi. “Siamo ancora in tempo – afferma Parisi – ritroviamo come Pd l’ispirazione ulivista che ci chiamava a mettere la nostra unità interna al servizio dell’unità della coalizione: oggi vediamo quali frutti avvelenati abbia prodotto la sciagurata tentazione dell’autosufficienza”.
La linea del ’98, com’è noto, portò Prodi alla sconfitta. Ma nel “modo” di quella sconfitta stava anche la ragione della rivincita: proprio perché – come disse più tardi Parisi – allora “perdemmo senza perderci”. Quel copione prevede però un seguito. Dopo la caduta, infatti, Prodi non tardò a formare una sua lista – che si chiamava giusto “i Democratici” – sfidando i Ds al motto di “Competition is competition”. E alimentando sulla “congiura del ’98” una campagna sanguinosa. Raro caso di “storia scritta dai vinti”, come la definì sulla Stampa Fabio Martini. Se alle prossime elezioni il Pd di Veltroni si presenterà davvero senza alleati, alle tante liste di centrosinistra rimaste orfane – assicurano in molti – si aggiungerà dunque anche la lista prodiana. Proprio come dieci anni fa. (il Foglio, 23 gennaio 2008)

2 commenti leave one →
  1. 24/01/2008 09:32

    …e scopriremo che Veltroni non si candiderà premier per restare sindaco si Roma

  2. 24/01/2008 10:03

    Come a dire, “La storia non insegna nulla”…

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