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Il migliore dei fallimenti possibili

20/09/2008

L’editoriale che attendevo da giorni è finalmente arrivato e devo dire che non ha deluso le mie aspettative. Nello stesso articolo, infatti, il professor Giavazzi afferma (il corsivo è mio):

1) “Altro che uno strumento per arricchire ancor più i ricchi: i mercati finanziari sono innanzitutto un’opportunità per i poveri. (…) Certo, questi strumenti debbono essere regolati e comunque non sostituiranno mai le assicurazioni pubbliche (ad esempio contro la disoccupazione). Ma appunto: regolati, non vietati”.

2) “Chi oggi rivendica il diritto della politica di scrivere nuove regole per i mercati finanziari dovrebbe ricordare che fino a poche settimane prima della crisi i politici ritenevano che la maggior area di rischio nei mercati fossero i fondi hedge, una delle istituzioni che ha meglio retto alla crisi”.

L’apparente contraddizione tra i mercati che vanno regolati e la politica che non deve scrivere nuove regole, però, si spiega senza difficoltà. Evidentemente, i mercati sono già regolati a sufficienza e funzionano benissimo così (servono dunque regole, ma non ne servono di nuove). Così, cioè con una casta di manager che guadagna alcuni fantastiliardi al giorno qualunque cosa faccia – e se anche porta l’intera compagnia alla rovina, solo per togliere il disturbo intasca cifre che la nostra lingua non ha ancora imparato a nominare – mentre, dall’altra parte, qualche migliaio di lavoratori perde il lavoro e finisce in mezzo alla strada, qualche migliaio di risparmiatori perde i risparmi e finisce in mezzo alla strada, qualche migliaio di pensionati perde la pensione e finisce in mezzo alla strada, qualche migliaio di disoccupati non trova il lavoro e resta in mezzo alla strada, ma tutti quanti – salvo quelli che non hanno nemmeno di che pagare le tasse – pagano eccome, come contribuenti, per ripianare le perdite delle suddette compagnie, affinché queste possano continuare a remunerare come si deve i nuovi manager e ad assicurare le meritate liquidazioni ai manager vecchi. Non vi convince? Allora ci dev’essere un’altra spiegazione. E infatti c’è. Potremmo chiamarla la spiegazione delle tre carte: scrive infatti Giavazzi che “non si uscirà dalla crisi finché al sistema finanziario non affluirà una gran quantità di nuovo capitale privato”, ma è improbabile che ciò accada “in un mondo in cui la politica diffondesse sfiducia verso il mercato e imponesse regole volte a impedirne il funzionamento”. Ora, io non so se prima di scrivere il suo articolo il professor Giavazzi abbia ricevuto una privata telefonata di Oliviero Diliberto, Kim Jong Il o Alfonso Pecoraro Scanio, ma che io sappia nessuno, in nessuna parte del mondo, ha mai avanzato la proposta di regole volte a impedire il funzionamento dei mercati. A meno che Giavazzi consideri tali, come par di capire dal suo articolo, tutte le regole stabilite dalla politica, che non sorgano cioè spontaneamente dai mercati stessi. Come le attuali, appunto (tralascio, perché non gioco al gratta e vinci e non mi piace vincere facile, l’argomento secondo cui, in questo momento, il pericolo maggiore sarebbe rappresentato da una politica che potrebbe diffondere sfiducia verso il mercato – argomento che ricorda parecchio le proteste dell’Urss brezneviana per le critiche dei comunisti italiani, responsabili di alimentare sfiducia presso le masse sul perfetto funzionamento del loro meraviglioso sistema, accreditando così le falsificazioni della peggiore propaganda antisovietica).

3 commenti leave one →
  1. enrico delfini permalink
    21/09/2008 11:19

    a me non torna la asimmetria tra quello che avviena quando il mercato e le borse calano, e quando al contrario le cose vanno benone.
    Nel primo caso: allarme, titolo del tipo “bruciati, distrutti centomiliardidieuro!, e richiesta di intervento calmieratore e di salvataggio da parte di enti e istituzioni.
    Quando va bene però, nessuno dice “creati dal nulla centomiliardidieuro ! ! e questi finiscono nelle tasche di qualcuno.
    Mi sembrerebbe, come minimo, che, se le banche centrali vogliono-o devono-intervenire per i salvayaggi, usando soldi pubblici, quindi anche di chi non “gioca” in borsa; almeno vi dovrebbe essere un consistente prelievo fiscale sui guadagni, a beneficio di tutti.
    E’ troppo facile “giocare” ad un gioco in cui si può solo vincere.
    Ricordo un tempo, non poi così lontano, in cui giocare in borsa, era detto “speculazione”, e la parola era ammantata da una atmosfera di sospetto. Non che fosse una cosa brutta, ma certamente non una cosa di cui vantarsi. Addirittura il quotidiano fondato da A.Gramsci non riportava pewr niente le notizie di borsa….
    Certo, era un atteggiamento eccessivo, ma da ciò a presentare come eroi quelli che diventano miliardari solo per aver venduto al pomeriggio una cosa (cosa?) comprata al mattino, senza aver tirato fuori di tasca nemmeno una lira………..

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