Questione meridionale e autismo politico
“Espunta dal discorso pubblico nella furia iconoclasta degli anni novanta, ridotta a un patchwork di inefficaci patti territoriali e accordi di programma conditi dalla retorica ingannevole dello ‘sviluppo locale’ e del ‘piccolo è bello’, la questione meridionale è più viva che mai ed alimenta la stessa cosiddetta ‘questione settentrionale’, che di essa è in realtà solo un derivato. Definire il profilo di un moderno riformismo in Italia significa essenzialmente fare i conti con questo nodo, innanzitutto attraverso una severa riflessione critica (ed autocritica) sulle politiche per il Mezzogiorno dell’ultimo quindicennio e sulla cultura che le ha alimentate. Sarebbe bello se le importanti parole di Napolitano consentissero finalmente di aprire questo dibattito”.
Dubito che il desiderio espresso da Roberto Gualtieri sarà esaudito dal Partito democratico. E si capisce: prima di tutto, dopo quasi due giorni di incomprensibile silenzio, il Pd non può permettersi di trascurare oltre il caso Villari; poi deve trovare una ragionevole mediazione con l’alleato Di Pietro, per stabilire una volta per tutte se il premier debba essere paragonato a Videla o a Hitler; infine, non può certo dimenticare l’importante questione del ‘partito del nord’ proposto da Chiamparino, Cacciari e Penati – su questo però è meglio che io non dica niente, per evitare querele e perché in fondo l’unico commento sensato lo ha già fatto Diego Bianchi:
“Chiamparino gira per studi televisivi per lanciare con forza l’ipotesi di un Partito Democratico del Nord che fronteggi la Lega (anche a costo di allearcisi) con la credibilità dei suoi migliori esponenti locali…”
LO STATO NON A CAPITO CHE PER TOGLIERE LA CRISI DEVE PRIMA
ABBASSARE I CONTRIBUTI COSI TUTTI CI ASSUMEREBBERO E NON SI LAVOREREBBE PIU A NERO E CISI CHE LO STATO CI GUADAGNEREBBE DI PIU