Su contratti e pensioni il Pd ha detto cose serie. Rispondere prego
Dopo una lunga fase di insulti e sbertucciamenti reciproci, al dialogo tra maggioranza e opposizione si offre finalmente un terreno di qualche consistenza, che non riguarda la pay tv o la commissione di Vigilanza, ma la vita e i diritti di tutti gli italiani: contratti e previdenza. Perché questa volta, su entrambi gli argomenti, il Pd ha detto qualcosa di serio, a cominciare dalla proposta di Pietro Ichino sul contratto unico rilanciata ieri dal senatore Enrico Morando, portavoce del governo ombra. Una proposta che sostanzialmente consiste nella cancellazione dell’attuale dualismo tra contratti stabili e contratti precari, tutti sostituiti da un unico modello che preveda tutele crescenti nel tempo, da un’iniziale precarietà, senza ostacoli al licenziamento come negli attuali contratti flessibili, a una definitiva stabilità, con tutti i diritti attualmente previsti per i lavoratori tutelati dall’articolo 18. Va detto che l’onorevole Ichino aveva già più volte avanzato questa proposta, sia in campagna elettorale sia in seguito, e dal Pd era stato sistematicamente sconfessato (“Parla a titolo personale”, si disse). Ora però il senatore Morando dice che su questa strada il Pd intende seguirlo. E anche sulla possibilità dell’innalzamento dell’età pensionabile e dell’equiparazione tra uomini e donne l’opposizione pone alcune condizioni, peraltro ragionevoli, ma non fa le barricate. Se questa volta il Pd si dimostrasse realmente intenzionato a fare sul serio, senza rimangiarsi tutto al primo stormir di sindacalista, il governo farebbe bene a rispondere seriamente. (il Foglio, 16 dicembre 2008)
Cosa cambierebbe allora?
Niente, ti licenzierebbero prima di maturare le tutele dell’art.18. Anche oggi, in teoria, i contratti a tempo determinato dovrebbero essere estesi a tempo indeterminato, ma sappiamo come va a finire.
Bisogna superare il mercato del lavoro a due strati con un contratto unico. Ma non uno che sia legato al tempo per maturare i suoi benefici. A mio parere, la riforma del lavoro sarà davvero raggiunta quando un lavoratore di un mese avrà la stessa base contrattuale di uno assunto da 20 anni. Stessa possibilità di essere licenziati, dietro preavviso. Ma dal primo giorno di lavoro, con contributi pensionistici e assicurativi.
Accompagnando questo modello, con l’assegno di disoccupazione. Il modello mediterraneo di insider protetti e outsider o disoccupati o precari, ha chiaramente fallito. Sostituiamolo.
Fra, hai perfettamente ragione, ma non lo dire a Cundari che ti accusa di Giavazzismo altrimenti
E farebbe bene ad accusarlo di giavazzismo! :-)
Se c’è una cosa buona che può fare la sinistra è emanciparsi dalla visione secondo cui la disoccupazione, la precarietà e le diseguaglianze sono problemi derivanti da un errato design contrattuale. Dopo Alesina&Giavazzi credo sia arrivato il tempo di liberarsi dell’ingombrande padrinato culturale dei vari giuslavoristi che hanno dettato legge (è proprio il caso di dirlo!) nell’ultimo decennio.
me lo aspettavo sto commento… scusa tanto Knut, ma se non sono un problema contrattuale, che fanno piovono dal cielo? Sono complotti massonici? Vizi di un capitalismo becero?
Forse problemi economici?
O vogliamo provare a spiegare le diseguaglianze regionali, per sesso, per età, per durata della disoccupazione, il basso tasso di occupazione, etc. tirando in ballo il design contrattuale? Rischiamo di andare contro non solo ad una tonnellata di evidenza empirica, ma pure al buon senso da uomo della strada.
Tutto giusto, per carità. Dico solo che la proposta del contratto unico è una cosa seria, che merita di essere discussa seriamente. Poi è evidente che il diavolo sta nei dettagli, che dettagli non sono, ma sostanza. Discutiamone. Mi pare però che la questione del superamento dell’attuale dualismo sia un’esigenza reale, che un partito di sinistra dovrebbe sentire come urgente, specie di fronte a casi, anche recentissimi, in cui in una stessa azienda ci si trova dinanzi a una guerra tra precari e garantiti. Se con la crisi economica questa diventa la norma, converrete che per qualsiasi forza di sinistra, politica o sindacale, è lo scenario fine-di-mondo – ma è lo scenario peggiore innanzi tutto per i lavoratori e le fasce più deboli.
Per me chiunque dovrebbe poter essere licenziato dopo 1 minuto…..e fino ad un minuto dalla pensione. Lo stato si limiti a fissare le garanzie minime, siano esse contributive, previdenziali, di sicurezza, insomma quanto riguarda la decenza. Il resto uno se lo contratta a seconda del suo valore sul mercato. Naturalmente concordo sul fatto che chi perde il lavoro debba essere sostenuto, ma non è più (appunto) questione di rapporto di lavoro.
Ora, se così fosse chi ci rimette? Il lavoratore no, che se c’è da licenziare si licenzia anche ora, eccome se si licenzia.
Gli unici a rimetterci sono i sindacati, o meglio i sindacalisti di vertice. Come farebbero ad andare in tv ogni giorno, garantendosi una fama che poi giustifica il fatto che diventano sindaci, o parlamentari, o presidenti della camera…..o per un po’ anche della regione abruzzo :-)
Qualcuno de sinistra si è mai chieso quale sia la giusificazione della presenza di sindacalisti (in quanto tali) nei consigli di amministrazione? Mica del droghiere, parlo dell’inps, delle ferrovie, dell’alitalia…..ad esempio.
L’unica risposta che mi sono dato è che la fama è necessaria, ma non ci si campa. E allora, in quanto rappresentante di un’associazione privata, mi mettono a gestire gigantesche utilities pubbliche (ah, e le università?) in palese conflitto di interessi, tutto questo sorvolando sulla competenza specifica.
Il risultato qual’è? Sono famosi, sono anche ricchi, da vespa conversano dottamente di tutto con vescovi e direttori dei giornali, mentre le aziende e le università se ne vanno a puttane.
Sul fatto che il PD si sia improvvisamente svegliato dal torpore sono d’accordo. Così come concordo con l’idea che sia necessario porre rimedio alla giungla contrattuale uscita dalle riforme Treu-Maroni. Dei miei dubbi sul contratto unico ho già detto: rischia di garantire stabilità a chi non la cerca (i qualificati) e non garantirla a chi invece la cerca (i non-qualificati). Con qualche accorgimento può comunque venire fuori qualcosa di decisamente migliore rispetto al sistema attuale.
Al di là dei dettagli tecnici, mi pare che la cosa più importante stia nel mutato atteggiamento della sinistra “riformista” che, dopo un lungo periodo di confusione, ha capito che la precarietà del lavoro non è causata dall’assenza di un sistema di ammortizzatori sociali universali (quella casomai è una vergognosa aggravante) e che la stabilità dei rapporti di lavoro (soprattutto di quei lavoratori scarsamente qualificati), oltre che essere economicamente efficiente, è pure socialmente auspicabile.
Eheh,
caro Knut, che c’entrano le varie disuguaglianze con il design contrattuale? Sei tu che le tiri in ballo. Per me il tipo di contratto che propongo (che è quello che più o meno esiste in Svizzera e in Scandinavia) avrebbe un effetto sulla domanda aggregata e la produttività.
I precari avrebbero un reddito disponibile più alto e minore ansia sul futuro, da cui maggiori consumi.
Gli insider di oggi non perderebbero le garanzie su pensioni, sanità, ma di sicuro la loro vita al lavoro sarebbe meno rilassata, si darebbero più da fare per non perdere il lavoro, aumentando la produttività.
Per le disuguaglianze, penso che il compito sia della politica fiscale, non del diritto del lavoro.
Parlavo di diseguaglianze nel rapporto di lavoro pur in presenza della stessa disciplina contrattuale (che tradotto significa chiedersi perchè, ad esempio, con gli stessi contratti di lavoro, la disoccupazione è concentrata tutta al Sud, o perchè i contratti precari vengono utilizzati soprattutto in certi settori, etc)
Le proposte di flex-security o similari sono tutte bellissime, per carità. Però noi siamo in Italia, non in Danimarca. E abbiamo problemi diversi da loro: una disoccupazione strutturale concentrata tutta in un’area del paese, una manodopera molto meno qualificata, una struttura produttiva basata per larga parte su produzioni a basso valore aggiunto, etc. E tutto questo senza tenere conto dei costi della flex-security (dai 3 ai 4 punti di PIL in condizioni “normali”).
Quest’idea secondo cui la produttività è bassa perché la gente è “rilassata” e “non si dà abbastanza da fare” mi sembra, oltre che rozza, intrisa di un pregiudizio pro-business e anti-lavoratori che vorrei non vedere a sinistra.
Perché se veramente ciò che impedisce la produttività è la mancanza di pepe al culo, non vedo perché chiedere investimenti sulla formazione: un negriero con tamburi e frusta sarebbe molto più efficace.