Se Bersani leggesse il Foglio
Il segretario della Fiom che fa il giro dei partiti di opposizione è un’immagine che sembra fatta apposta per dare ragione ai suoi critici. La strada della radicalizzazione e dell’autostrumentalizzazione politica è un vicolo cieco, in cui sono già stati inghiottiti movimenti di ben altra consistenza. A cominciare dai milioni di lavoratori che al Circo Massimo avevano incoronato Sergio Cofferati, passato poi a Firenze, con Nanni Moretti e i girotondi ad acclamarlo nuovo leader della sinistra, e infine a Bologna, a fare semplicemente il sindaco. Ma non è detto che il male della Fiom sia un bene per altri. Anzi, il problema più serio è proprio il rischio che può comportare, per tutti, una simile deriva. E innanzi tutto per il Pd, che sulla Fiat ha preso una posizione talmente diplomatica da risultare ininfluente.
Forse Pier Luigi Bersani dovrebbe leggere di più il Foglio. La serie di articoli “Detroit, Italia” è molto istruttiva. A cominciare dalla conversazione con Paolo Mieli che l’ha inaugurata, parlando della necessità di appoggiare la “rivoluzione” di Sergio Marchionne, per importare nel nostro paese il modello economico, sociale e politico americano. Una piccola campagna, questa del Foglio, che ricorda la campagna a sostegno di un altro “modello americano”, quello del “partito senza tessere” di Walter Veltroni, ma soprattutto a sostegno del suo asse con Silvio Berlusconi per impiantare anche da noi, proprio come in America, un sistema bipartitico, e magari pure presidenziale. Considerando che all’inizio della campagna del Foglio Romano Prodi era ancora presidente del Consiglio, non si può dire che i risultati siano mancati. Ma l’idea di sostituire Veltroni con Marchionne, per quanto brillante, non pare destinata ad analogo successo.
E’ evidente a tutti, e prima di ogni altro a Marchionne, che sulla via delle forzature e degli strappi successivi non otterrà certo una maggiore governabilità degli stabilimenti. Non più di quanto, sulla stessa strada, abbia ottenuto finora Berlusconi, nella sua furiosa campagna contro i dissidenti finiani, e nella sua eterna guerra a ogni contrappeso, controparte e contropotere si pari davanti a lui. Resta da capire, in entrambi i casi, cosa sperino davvero di ottenere, questi singolari e in fondo svogliati campioni di un americanismo retorico, alquanto fumoso e alla fin fine molto italiano. Più che l’intenzione di condurre una travolgente avanzata, questo continuo gioco al rialzo sembrerebbe in entrambi i casi un modo di coprirsi la ritirata, alzando nel contempo il prezzo di qualsiasi futura ed eventuale trattativa.
Ma se nel frattempo l’aria si fa irrespirabile, se le contrapposte radicalizzazioni si ripercuotono per cerchi concentrici fino alle loro propaggini più estreme, la situazione può anche sfuggire di mano. Se a guidare lo scontro sono Maurizio Landini da una parte e Maurizio Sacconi dall’altra, va da sé che nella migliore delle ipotesi si finisce con la guerra civile. Non è dunque solo nel suo interesse, ma anche nell’interesse del paese, che il Pd farebbe bene a prendere una posizione più netta contro l’offensiva lanciata da Marchionne. Qualche voce isolata ci ha provato. Veltroni, invece, si è schierato con Marchionne. Alla direzione del 13 si annuncia dunque la conferma dell’inafferrabile compromesso prevalso fin qui sulle mosse della Fiat, singolare punto d’incontro tra l’acquiescenza della maggioranza bersaniana e l’aperto sostegno della minoranza veltroniana. Una posizione che domani, a fronte di una situazione sociale e politica che si va radicalizzando, rischia però di rivelarsi politicamente insostenibile per i dirigenti, e semplicemente insopportabile per gli elettori. (il Foglio, 6 gennaio 2011)