L’analisi del vuoto
A quanto pare, nel Partito democratico si comincia finalmente a discutere, come dovrebbe essere norma e regola in qualsiasi partito, figurarsi in un partito che porta quel nome. Io sono stato a lungo militante dei Ds e sostenitore del Pd. Non ho cambiato idea, ma dal giorno in cui si è deciso di far nascere quel partito incoronando Walter Veltroni con primarie che in confronto i congressi del Pcus erano un modello di democrazia pluralista e liberale (e questa, ovviamente, non è certo una critica a Veltroni), non ho voluto averci niente a che fare. Dunque non ho avuto alcuna remora nel dire come la pensavo sulle scelte compiute in campagna elettorale, come non ne ho avute prima su quelle primarie e su tutto ciò che ne è seguito. Figuratevi se non ho voglia di discutere adesso. Anzi, secondo me, le discussioni da fare sarebbero molte, e quella sulle responsabilità di Veltroni è solo l’ultima dell’elenco. Prima di tutto, però, occorre che intellettuali, dirigenti e segretario del Pd – e tutti i maggiori quotidiani con loro – escano dalla spirale perversa in cui si sono cacciati in queste settimane di deprimente, sconcertante, micidiale analisi del vuoto.
Detto tutto questo, aggiungo l’unica cosa che volevo dire sul serio, da almeno un paio di settimane. E cioè: non dite che non ve l’avevo detto.
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Barando un po’, me la sono cavata in un quarto d’ora (che posso arrotondare a cinque minuti). Ho vinto qualcosa?
Però ne vale la pena.
Naturalmente gli articoli li conoscevamo già.
Per tornare a fare politica bisognerebbe liberare i partiti da chi li tiene “sotto scopa”. Emanciparsi da qualcosa che ha garantito le proprie fortune non deve essere una cosa facile.