Storia di Gianni Cuperlo, “il più veltroniano dei dalemiani”
Roma. Quelli che hanno simpatia per lui dicono che non sembra neanche un politico, che legge libri (nel senso: libri di letteratura, con i personaggi, la trama e tutte quelle cose lì), che va al cinema, cucina, viaggia. Per i suoi estimatori, Gianni Cuperlo è insomma un uomo che si occupa di mille cose, pieno di curiosità, interessi, passioni. Quelli che non hanno simpatia per lui sostengono che tra tante passioni non rientri la politica. E che questa sia la ragione per cui non sembra neanche un politico: che non lo è. I primi dicono che sia impossibile immaginarlo impegnato in una rissa televisiva, nella lotta al coltello con gli avversari o con i suoi rivali interni, in una polemica di qualsiasi genere. Lo stesso dicono i secondi.
Estimatori e disistimatori, pertanto, sono rimasti assai sorpresi dall’intervento che Cuperlo ha pronunciato venerdì scorso all’assemblea costituente del Pd. Intervento di cui ha ribadito ieri la sostanza in un’intervista che farà discutere. “Noi avremmo bisogno di grande coraggio, lealtà e generosità – ha dichiarato a Radio Radicale – da parte di una leadership collettiva, una foto di gruppo, che da quindici anni ha diretto e governato le diverse stagioni del centrosinistra”. Un gruppo dirigente che ha “grandi meriti”, ma che mostra anche “limiti evidenti, un logoramento visibile”. La generosità starebbe dunque nel “mettere in sicurezza il progetto del Pd favorendo il venire in campo di un’altra foto di gruppo e anche di nuove leadership che siano fino in fondo figlie di questa stagione e di questo progetto”. Per uno che amici e nemici descrivono come antropologicamente estraneo alla battaglia di prima linea, inabile alla leva dello scontro diretto, non c’è male. D’altra parte, lo stesso Cuperlo non ha mai nascosto la sua refrattarietà a ruoli di primo piano. E così in questi giorni non nasconde agli amici il suo disagio dinanzi ai titoli dei giornali che già lo descrivono in corsa per la leadership, o comunque tra i principali protagonisti di una guerra intestina che tutti i protagonisti, ovviamente, smentiscono. Come fa spesso, agli amici risponde con una parafrasi di Groucho Marx: “Non vorrei mai stare in un partito che avesse tra i suoi leader uno come me”.
Eppure Gianni Cuperlo leader è stato. Per la precisione, segretario della federazione giovanile del Pci. E proprio negli anni più difficili, quelli della svolta di Achille Occhetto, con il cambio di nome e simbolo, la scissione, le lacerazioni politiche e personali. Probabilmente è stata proprio quella precoce e certo non facile esperienza ad avergli fatto passare il gusto per la prima linea. Certo è che gli è rimasta impressa. Tanto più se è vero, come raccontano, che qualche anno fa avrebbe regalato a Massimo D’Alema, per il suo compleanno, proprio la targa che campeggiava all’ingresso della gloriosa Fgci, di cui lo stesso D’Alema è stato segretario nella seconda metà degli anni Settanta. Ma nonostante il rapporto tra i due sia antico e consolidato, non è stato D’Alema il suo “scopritore”. A chiamare Cuperlo alla guida della Fgci, infatti, è stato l’allora segretario Pietro Folena. E oggi che i giornali parlano di Gianni Cuperlo e di Nicola Zingaretti come possibili successori di Walter Veltroni viene da sorridere ascoltando i vecchi figgiciotti di un tempo confermare che allora, in effetti, i pupilli del segretario erano due: Cuperlo e Zingaretti.
“La verità è che io ero diventato un po’ troppo ingombrante – ricorda Folena – e così decisi di accelerare un po’ la mia uscita, nell’88”. In quel momento c’erano diverse candidature “naturali”, come si dice, cioè tali da mettere d’accordo tutti, tuttavia “decidemmo di puntare sul più eterodosso rispetto alla nostra tradizione”. Eterodosso, prosegue Folena, per tre diverse ragioni. “Perché triestino, perché aveva studiato al Dams e perché era anche personalmente, come stile, quanto di più lontano dal funzionario di partito”. Non era il più popolare e non aveva nessuna cordata di sostenitori. Nonostante questo, dice Folena, “decidemmo di puntare su di lui”. E anche quel plurale è interessante, perché gli altri, quelli che più di tutti sostennero la scelta, si chiamavano Nichi Vendola e Franco Giordano.
Triestino, diplomato al Dams, eterodosso rispetto alla figura dell’uomo di partito anche nello stile, nel linguaggio, nel tratto personale. Alcuni, eccedendo forse in psicologismi, individuano proprio qui la ragione del suo sodalizio con D’Alema, cioè al dirigente che più di ogni altro si avvicina al modello tradizionale dell’uomo di partito. Quanto al suo essere triestino, la cosa è stata anche oggetto di battute ironiche, la migliore delle quali è probabilmente la definizione di “Robert Redford della Mitteleuropa”. Qualcuno dice che sembra uscito da un libro di Musil, forse semplicemente per assonanza con “Mitteleuropa”, e forse non solo per questo. Gli antipatizzanti lo descrivono come “un triestino che deve soffrire per forza, che introietta tutti i mali del mondo”, pur essendo dotato di un senso dell’umorismo fuori dal comune – su questo concordano tutti – solo che “se prima gli accadeva di mostrarsi simpatico e spiritoso una volta ogni due-tre mesi, ora gli accade una volta ogni due-tre anni”. Eclettico ma non superficiale, secondo molti Cuperlo è “il più veltroniano dei dalemiani” (un giudizio che esprimono, con significati diversi, sia i simpatizzanti sia gli antipatizzanti). Come Veltroni, anche lui si occupa di comunicazione, concepisce la politica come un impegno rigorosamente non-totalizzante, ed è più facile sentirlo discutere di letteratura piuttosto che di riparto proporzionale e soglie di sbarramento (celebre la sua descrizione geografica della giallistica italiana, dalla Lombardia di Gianni Biondillo alla Sicilia di Andrea Camilleri, passando per tutte le regioni della penisola). La differenza, dicono i dalemiani citando una vecchia battuta su Veltroni e D’Alema, sta nel fatto che “uno i libri li studia, l’altro li legge”.
Onnivoro, capace di spaziare dall’alta filosofia alla pulp fiction (dicono abbia fatto anche un corso di lettura veloce), questo pare fosse il suo compito anche nel celebre staff dalemiano: “Leggere, studiare, scrivere”. Potrebbe essere il suo motto personale, una sorta di ironica alternativa al più truce “credere, obbedire, combattere”.
Appassionato di Joe Lansdale, scrittore americano con una spiccata predilezione per arti marziali, risse e ammazzamenti a catena, intrecciati a un’ironia sottile e persino a una certa forma di impegno sociale, Cuperlo ha da poco intervistato il suo beniamino per la nuova televisione satellitare che la fondazione ItalianiEuropei sta mettendo su in collaborazione con Nessuno Tv, come ha raccontato qualche settimana fa sul suo blog (perché sì, ovviamente, Cuperlo ha anche un blog, e probabilmente è anche uno dei pochi uomini politici ad aggiornarlo regolarmente, e a farlo da sé). A essere rigorosi, però, non è stato quello il primo incontro tra lo scrittore texano cintura nera di almeno un paio di arti marziali e il “triestino triste che sembra uscito da un romanzo di Musil”. La prima volta, infatti, è stato un anno fa, quando Cuperlo andò alla presentazione di un suo libro, a Roma, con quattordici libri da farsi autografare nello zainetto. Un compito zelantemente portato a termine, come sempre, dopo una lunga fila in mezzo a giovani punk e altri fan come lui, un po’ diversi da lui. Come sempre. (il Foglio, 24 giugno 2008)
Il mio commento potrebbe finire nelle tue “fregnacce intimiste” ma di Cuperlo ricordo un viaggio in automobile (una mercedes credo) sulla Salerno – Reggio Calabria: scopo del viaggio, recarsi in quel di Rosarno per una manifestazione/convengo antimafia. Presenze nella sala, se non ricordo male, una ventina di persone. Bel pomeriggio e bella serata. Poi mai più rivisto. Ah, altri tempi quelli della Fgci…
Forza Cuperlo!!!!
Quelli che hanno simpatia per lui dicono che non sembra neanche un politico, che legge libri (nel senso: libri di letteratura, con i personaggi, la trama e tutte quelle cose lì), che va al cinema, cucina, viaggia. Per i suoi estimatori, è insomma un uomo che si occupa di mille cose, pieno di curiosità, interessi, passioni. Quelli che non hanno simpatia per lui sostengono che tra tante passioni non rientri la politica. E che questa sia la ragione per cui non sembra neanche un politico: che non lo è.
gianni sei l’unico che può prendere in mano le redini e cercare di portare il PD fuori dalle sabbie mobili, fai un fischio se serve aiuto, Luca da Pesaro
Forse non è la tua principale ambizione, ma è ora che tu ti decida di “apparire”; credo che a questo punto della vita del nostro vecchio Partito molti ne sentano la necessità e tu. magrado la tua pigrizia che ben ricordo, hai i numeri giusti e la testa per far girare l’ andazzo.
Ciao, ci vediamo.
Gianfranco
Venezia, 1897, Ca Foscari, occupazione universitaria (prima della pantera).
Il segretario regionale della FGCI preoccupato del numero delle tessere che sarebbero potute scaturire dal movimento di sinistra.
Cuperlo, segretario nazionale degli studenti nazionali, quasi commosso; “qui stanno succedendo grandi cose”.
Gianni è sempre stato atipico, essendo un intellettuale (spero non si offenda) prestato alla politica.
E’ che in politica mi sembra sempre troppo “naif”.