Il crac divide Fazisti e Tafazzisti nel Pd
Roma. Il primo a reagire, dopo aver letto sui giornali della “riabilitazione” di Antonio Fazio nel corso di un seminario del Pd, è stato Francesco Rutelli. E non c’è da stupirsi. A suo tempo, Rutelli è stato tra gli esponenti del centrosinistra più direttamente impegnati nella polemica sulle scalate del 2005 (a cominciare da quella di Unipol a Bnl). La rivalutazione dell’ex governatore pronunciata da Pierluigi Bersani – che allora, con buona parte dei Ds, si trovava sul fronte opposto – dev’essergli apparsa pertanto un’autentica provocazione.
“E’ giusto ricordare che anche l’ex governatore Fazio ha assicurato un positivo contributo alla stabilità del sistema – dice Rutelli – ma è necessario aggiungere che nella vicenda delle scalate bancarie le decisioni e gli indirizzi propugnati dall’allora governatore Fazio erano pessimi e se si fossero concretizzati avrebbero portato conseguenze molto negative per il sistema e per i risparmiatori”. Non inganni il tono diplomatico – almeno nei confronti degli esponenti del suo partito, non citati – perché la divisione che la crisi finanziaria ha aperto nel Pd va ben oltre le polemiche del 2005. Anche se le squadre, e non è un caso, sono sostanzialmente le stesse di allora. Da un lato i rutelliani e i “liberal” dei Ds: ieri all’attacco contro Fazio e contro gli scalatori, oggi in difesa sulla crisi, ma sempre in nome di una moderna “cultura di mercato”; dall’altro lato dalemiani, fassiniani e popolari: ieri in difesa su Fazio e sulle scalate, oggi all’attacco sugli eccessi delle politiche liberiste, ma sempre in nome del primato della politica.
“Prima la riscoperta dello statalismo, ora pure la rivalutazione di Fazio, mi sembra che si stia un po’ esagerando”, sbotta Giorgio Tonini. “Il nostro sistema bancario, con Fazio, era come un albero piegato dalla neve, che subito dopo l’arrivo di Mario Draghi si è tirato su… e i nostri gruppi, prima chiusi in se stessi, sono diventati colossi europei”. Il problema non è però Fazio, ma la “filosofia che c’era dietro”. (segue dalla prima pagina) Una filosofia “autarchica”, che il veltroniano Tonini torna a scorgere anche nel suo partito.
“Penso che per molti ci sia un reale disagio”, spiega Nicola Rossi, che al tema ha dedicato anni fa un saggio intitolato non per nulla “Riformisti per forza”. Un tema con cui si è confrontato direttamente alla fine degli anni Novanta, quando ha fatto parte del gruppo di economisti che seguirono a Palazzo Chigi Massimo D’Alema (per poi allontanarsene). Dopo la sua adesione al gruppo degli ex “liberal” ds raccolto attorno a Walter Veltroni e all’idea della “nuova stagione”, Rossi sembra dunque rivedere lo stesso film. “La verità – spiega – è che in passato si sono compiute una serie di scelte verso l’economia di mercato, che in realtà non erano né comprese né condivise fino in fondo”. Di qui “il disagio di chi vorrebbe ora gridare a squarciagola tutto quello che fino a oggi sentiva di non poter dire, ma al tempo stesso esita e si sente in imbarazzo per quello che ha detto fino a ieri”. Per Rossi si tratta dunque del riemergere delle culture di origine, prima soltanto accantonate. “Ma se non ci si ferma un attimo per decidere a quale idea del mondo si vuole aderire – pronostica – temo che di simili oscillazioni ne vedremo ancora molte”. (il Foglio, 16 ottobre 2008)