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Disordini dopo la piazza

28/10/2008

Roma. La manifestazione di sabato è stata un indiscutibile successo per il Partito democratico e per Walter Veltroni, che l’aveva lanciata con ben quattro mesi di anticipo, suscitando molte perplessità. Gli effetti concreti di un simile successo, all’interno di un gruppo dirigente che resta profondamente diviso e ancora piuttosto incerto sulla strada da prendere, potrebbero però rivelarsi anche più insidiosi di un fallimento. Lo testimoniano due piccoli episodi accaduti sabato al Circo Massimo: il primo durante il corteo e noto a tutti, perché svoltosi dinanzi alle telecamere; il secondo poco prima che Veltroni prendesse la parola, dietro il palco, e passato quindi inosservato.
Il primo episodio ha come protagonista Massimo D’Alema. Quando i due cortei organizzati dal partito cominciano a muoversi – l’uno da piazza della Repubblica, l’altro da piazzale Ostiense – si dice che Veltroni e D’Alema si siano scelti ciascuno il proprio spezzone. Ma la notizia è prontamente smentita dall’immagine dei due che procedono fianco a fianco, sorridendo a favore di telecamera. “I giornali scrivono che non facciamo altro che dilaniarci – dichiara D’Alema – poi la gente viene qui e vede che passiamo il tempo ad abbracciarci… altro che dilaniarci”. Tra le dichiarazioni di Veltroni prima del comizio, però, spicca un significativo “a qualcuno verrà il sangue amaro”. Parole che hanno forse qualcosa a che fare con il secondo episodio. Protagonista qui è il senatore Nicola Latorre, da sempre considerato il più vicino a D’Alema. Il segretario lo incrocia dietro il palco, dove si sono raccolti i dirigenti, indica la folla assiepata tutt’attorno e gli dà una pacca sulla spalla. “Nicola, non essere triste… non può andare sempre bene”, gli dice. “Ma io non sono affatto triste, tutt’altro: mi fa piacere vederti così tonico. Negli ultimi tempi mi sembravi un po’ abbacchiato”, replica Latorre.
Probabilmente è la prima volta in cui il segretario, davanti all’intero gruppo dirigente, rende esplicita una contrapposizione che di solito entrambi i diretti interessati – Veltroni e D’Alema – si affannano a smentire. Attorno a loro, però, sono in molti ad aver perso gusto alla diplomazia. Dietro il palco, alla notizia che la questura parla di 250 mila partecipanti, il dalemiano Roberto Gualtieri commenta con Gianni Cuperlo: “Ma no, secondo me non saranno meno di quattrocentomila”. Matteo Orfini sceglie invece la metafora sportiva. “Il Pd è come la Roma – dice – una grande tifoseria, ma ora serve il gioco”. Una metafora che dopo il risultato di domenica, con i giornali che titolano sulla Roma a un punto dalla zona retrocessione, appare ancora più cupa. Dall’altra parte del palco, tra i veltroniani, la musica è ovviamente ben diversa. Già durante il corteo, in molti spingevano sulla linea indicata nei giorni scorsi da Bettini – il rinnovamento del gruppo dirigente prima del congresso – nella convinzione che il successo della manifestazione abbia per Veltroni il valore di una nuova investitura, un’indiscutibile ri-legittimazione – le sue “seconde primarie” – da cui trarre subito le conseguenze. “Qualcuno mi ha preso in giro – ha detto Bettini al Riformista giusto il giorno del corteo – perché ho indicato anche in alcuni giovani deputati, la Madia, Boccuzzi, Colaninno, il rinnovamento. Si tratta di persone forse poco strutturate, ma è di loro che abbiamo bisogno… perché si affacciano all’impegno politico con freschezza e sguardo limpido”. Simili schermaglie tra veltroniani e dalemiani non sono una novità. Ma stavolta sembra essere il segretario ad avere rotto gli indugi. Prima delle europee, aveva detto già a pochi giorni dalla manifestazione, occorrerà “un’operazione di innovazione sul partito, un’innovazione generazionale… perché se il Pd è rappresentato dappertutto da gruppi dirigenti espressione di altre stagioni, l’innovazione è difficile”. E così, all’indomani del corteo, è arrivato lo stop all’ingresso del fassiniano Maurizio Migliavacca nel coordinamento del partito; quindi la scelta di andare avanti senza tentennamenti sulla candidatura di Roberto Morassut (già assessore all’Urbanistica nella Roma amministrata da Veltroni) a segretario del Lazio. A domanda sulla sua intenzione di contendergli la carica, Gianni Cuperlo ha risposto con un laconico: “Non mi candido, per ora”. Certo è che l’idea di lanciare il rinnovamento prima del congresso appare a molti come una dichiarazione di guerra. Il vicesegretario Dario Franceschini, in compenso, si smarca. “Credo che in questo delicato momento – dice – il Pd abbia bisogno delle risorse e dell’aiuto di tutti quanti. Vecchi e giovani. Di unità, insomma”. Un’analisi che nel Pd sembra essere però sempre meno condivisa. (il Foglio, 28 ottobre 2008)

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