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Mentre Veltroni tratta con i socialisti, D’Alema ritorna comunista

02/12/2008

Roma. Giusto nei giorni in cui Massimo D’Alema torna dal Messico, Walter Veltroni parte per la Spagna. Il primo rientra da una riunione dell’Internazionale socialista per andare a spiegare alla trasmissione “Crozza Italia” di essere ancora comunista; il secondo va a Madrid per spiegare al Partito del socialismo europeo per quale ragione il Partito democratico non può sottoscriverne il manifesto.
“Penso che più questa famiglia si aprirà – dice Veltroni al Pse – più riconoscerà l’esistenza di tante forze, di tante energie, di tante culture che gravitano dentro il corpo democratico e progressista, e meglio sarà per tutti noi”. La giusta soluzione sulla collocazione europea del Pd è “né con il Pse, né a prescindere dall’area delle forze progressiste”, spiega Enrico Letta, convinto che la questione sia “solo apparentemente complicata”. E in effetti, nonostante le proteste di Arturo Parisi contro Piero Fassino, che ha firmato il manifesto socialista come ex segretario dei Ds, il vecchio accordo di un gruppo parlamentare federato con quello del Pse, che non implichi l’ingresso nel partito, sembra ancora reggere, nonostante tutto. E nonostante la lunga guerriglia tra veltroniani e dalemiani alimenti anche su questo sospetti e polemiche che certo non contribuiscono ad appianare le divergenze.
“Silvio Berlusconi ha detto di lei che è il più intelligente, ma anche il più comunista”, dice Crozza a D’Alema durante la trasmissione di domenica sera. “Sulla prima parte non sono io il giudice, sulla seconda non ha tutti i torti”, replica D’Alema.
“Sulla carta non dovrebbero esserci dubbi, né sulla prima né sulla seconda. E’ la traduzione pratica, tanto della sua intelligenza quanto del suo essere comunista, che forse non gli è mai pienamente riuscita”, commenta Piero Sansonetti. Ma non è quella l’unica affermazione spiazzante della serata. Nel corso della stessa trasmissione, infatti, D’Alema fa notare come l’Italia sia stata quasi sempre governata da “forze conservatrici”, perché gli unici due “leader di partiti di sinistra” a farlo, in centocinquant’anni di storia unitaria, sono stati lui e Bettino Craxi (e certo i colleghi popolari del Pd non apprezzeranno troppo di ritrovarsi, con la Dc, a fianco di Benito Mussolini e dei notabili liberali dell’Italia prefascista). Ma D’Alema dice anche un’altra cosa degna di nota: “La politica è peggiorata da quando vi è entrata in massa la società civile”. Quando c’erano partiti solidi e strutturati, spiega, le cose andavano meglio.
In un certo senso, si potrebbe dire che nessuna delle tre affermazioni rappresenti una novità: D’Alema non ha mai negato di essere stato comunista e già diversi anni fa ha usato parole simili tanto su Craxi quanto sulla società civile. Ma forse la novità è proprio in questo ritorno all’antico, e al gusto della provocazione, da tempo trascurato per toni più rassicuranti. La scelta di chiamare la sua associazione Red – e allo stesso modo la televisione nata dalla collaborazione tra ItalianiEuropei e Nessuno Tv – così come il ritorno alla polemica aperta in difesa dei partiti, a ben vedere, sembrano altrettanti passaggi di un unico ragionamento. Come se adesso, conclusa la lunga transizione post-comunista, i democratici potessero finalmente dirsi – persino – comunisti. Rossi. Red. Quasi che solo adesso riacquistassero pienamente la propria libertà di parola e di movimento, all’interno di un nuovo e più largo campo da gioco – il Pd – di cui non dovrebbero più preoccuparsi di garantire la tenuta e i confini, per potersi finalmente concentrare sulla partita, da giocare dunque senza più freni inibitori. Paradossalmente, però, proprio un simile atteggiamento, che ha nel Pd la sua conditio sine qua non, rischia di produrre sul Pd un effetto destabilizzante. Alimentando i timori di chi, come i popolari, accusa D’Alema di puntare alla spaccatura, per tornare alla vecchia idea del partito della sinistra, in coalizione con l’Udc (che ne otterrebbe in dote, o in ostaggio, i fuoriusciti centristi del defunto Pd). Timori che corrispondono alle speranze di una parte della sinistra radicale, a cominciare da Nichi Vendola e da quel che resta dei bertinottiani. “Non so se D’Alema abbia creduto nel Pd o lo abbia solo accettato come inevitabile – dice Sansonetti – certo è che lui è un socialdemocratico, e ora mi pare che torni alla sua linea originale”. Ma il direttore di Liberazione è il primo a mostrarsi dubbioso. “Non so se a questo obiettivo D’Alema conti di arrivare attraverso l’esplosione del Pd o lavorando al suo interno per spostarne l’equilibrio a sinistra, intendendolo cioè come partito-luogo, partito-coalizione, forse ancor più che in America”. Certo è che nel Pd, alla direzione del 19 dicembre, si parlerà anche di questo. (il Foglio, 2 dicembre 2008)

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  1. Anonimo permalink
    03/08/2012 23:34

    bravo, bella analisi!

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