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Walter ricomincia dal partito solido

07/01/2009

Roma. Da Napoli all’Abruzzo, dalla Sardegna a Firenze, la sensazione è che nel Partito democratico la crisi vada ormai molto al di là delle semplici lotte di corrente. Anzi, paradossalmente, proprio la recente pacificazione tra veltroniani e dalemiani sembra avere sollevato il velo su una conflittualità endemica, frutto di nuove rivalità e antichi rancori tra mille piccoli potentati, minicorrenti personali e micropartiti locali. Il rischio, insomma, è che dall’“amalgama malriuscito” il Pd passi direttamente alla maionese impazzita.
Giorgio Tonini, senatore e dirigente tra i più vicini al segretario, non nasconde la gravità della situazione. “Il rischio di un fallimento del progetto del Partito democratico c’è – dice – ma la nostra difficoltà sta anche nel fatto che siamo dinanzi a un sistema politico locale che è cresciuto molto in questi anni, che ha punti di grande forza e punti di grande criticità, ma che dietro il livello amministrativo ha poco o niente”. Quello che manca, insomma, è il partito. Ne è convinto anche il portavoce del Pd, Andrea Orlando. “Il problema – sostiene – è la debolezza del partito, anche nei confronti delle amministrazioni locali e di tutto quel pulviscolo di correnti e correntine, spesso legate a progetti di carattere individuale, che in questi anni sono proliferate. E l’unica risposta che vedo sta nel ruolo del partito, nel tesseramento, nella centralità degli iscritti”. Dopo i molti segnali di ripensamento sulle primarie, anche da parte dello stesso segretario, la svolta verso un modello di partito organizzato in modo più tradizionale, solido e pesante, sembra dunque compiuta. Al coordinamento di oggi Walter Veltroni ripartirà da qui, dalla necessità di restaurare l’autorità del partito, portandone avanti con maggiore decisione la costruzione e il “radicamento”, unico antidoto alla terribile dinamica centrifuga che sembra essersene impossessata.
I segnali di smottamento, in effetti, sono ormai così numerosi che si fatica a tenerne il conto. Ieri, per esempio, è stato il turno di Pierluigi Mantini, secondo il quale “Riccardo Villari può restare al suo posto”, perché “sulla Vigilanza sono stati fatti tanti errori, tutti gravi”, ma ora “serve un patto di programma Veltroni-Villari sulla Rai”. Una provocazione, quella del deputato del Pd, che peraltro ricorda a tutti come il presidente della commissione di Vigilanza, effettivamente, sia ancora al suo posto, nonostante le furibonde proteste di Veltroni e di tutto il gruppo dirigente. Proprio come Antonio Bassolino. E come Rosa Russo Iervolino, che dopo un lungo colloquio con lo stesso Bassolino ha varato in questi giorni la nuova giunta. A entrambi Veltroni aveva chiesto di dimettersi. Nella sua battaglia per il rinnovamento, il segretario aveva puntato sul neosegretario cittadino Luigi Nicolais. “A Napoli partirà un treno parallelo”, diceva Goffredo Bettini a novembre, poco dopo la sua elezione, alludendo a uno schema simile a quello messo in atto con Prodi e Veltroni nel 2007, l’uno premier in carica, l’altro successore designato. “Ora si è capito che non sono io il cattivo che vuole le dimissioni di tutti – esultava Nicolais – ma è l’intero vertice del partito che vuole soluzioni innovative a Napoli e in regione”. E’ finita che Bassolino e la Iervolino sono ancora là, e a dimettersi è stato Nicolais, che ora dice a tutti i giornali: “Il sistema qui è inquinato, Walter si è adattato, io no”. E tutto questo mentre la Iervolino, nell’ultima incredibile nemesi di una crisi generata da inchieste e intercettazioni, si offre di fare ascoltare ai giornalisti le registrazioni dei suoi incontri con Nicolais. Lui trasecola e se ne dice scandalizzato, il sindaco ribatte di avere chiesto il permesso di registrare i loro incontri al vertice nazionale del partito. “Vicende abbastanza sconcertanti”, le definisce Andrea Orlando. E sconcertato si dice anche Tonini, che però ricorda anche come in Campania i Ds non siano mai riusciti a fare un congresso. “In dieci anni, io non ricordo un congresso che lì non sia finito con un accordo a tavolino, tra voti contestati, accuse di brogli e minacce di ricorso”. Nel Pd, è finita con l’invio di un altro commissario, Enrico Morando, che si aggiunge a quelli già spediti dal segretario in Abruzzo (Massimo Brutti) e in Sardegna (Achille Passoni). E poi ci sarebbe sempre Sergio Chiamparino, che all’ultima direzione si era dimesso anche lui – da ministro ombra – e solo le insistenze di Veltroni lo avevano convinto a ripensarci, ma intanto continua a sparare sul quartier generale al ritmo di tre interviste a settimana. Persino il trionfatore di Trento, protagonista dell’unica vittoria democratica di questa cupa stagione, Lorenzo Dellai, attacca il partito, dove la cultura del popolarismo sarebbe stata “archiviata” per fare del Pd “un partito socialista”. Non sorprende, pertanto, che Arturo Parisi colga l’occasione per rinnovare le sue critiche al segretario: “Se di fronte a questo disastro crescono a Trento e a Roma i nostalgici del passato, ci sono altri che hanno nostalgia del futuro”. E all’elenco restano ancora da aggiungere le infinite convulsioni del Pd in Abruzzo, la crisi di Firenze – dove per evitare la guerra civile si è dovuto sospendere la campagna per le primarie, già in corso, ma non si è ancora trovato un accordo sulle nuove primarie di coalizione – e la vicenda della regione Sardegna, dove la guerra tra sostenitori e oppositori di Renato Soru non sembra la migliore premessa per la campagna elettorale, aperta ieri da Soru con una grande convention. (il Foglio, 7 gennaio 2008)

2 commenti leave one →
  1. 07/01/2009 20:13

    “Il Partito democratico non potrà essere un partito tradizionale di iscritti, secondo i modelli già conosciuti nel ‘900… ma sarà un partito di cittadini-elettori…il popolo delle primarie ha travolto i modelli del passato e ha fatto emergere un nuovo protagonista: non più l’iscritto-tesserato né il politico professionista remunerato, ma il cittadino-elettore attivo, che perlopiù non intende dedicarsi stabilmente alla politica, ma rivendica il diritto di far sentire e pesare la propria voce nei momenti decisivi della vita del partito nel quale si riconosce… : ed è attorno al primato di questa nuova figura che dobbiamo costruire il modello organizzativo del partito nuovo. Un modello nel quale la partecipazione viene prima dell’appartenenza

    Le decisioni rilevanti dovranno essere prese con il metodo delle primarie aperte, ovvero dando la parola e lo scettro ai cittadini-elettori.

    Un partito strutturato più a rete che a piramide, presente e vivo nella società, in particolare attraverso la promozione, nelle forme meno dirigistiche e più autogestite possibile, in forte raccordo con fondazioni, istituti, associazioni, riviste, di una grande e diffusa pratica di formazione politica…
    Un partito nel quale, in relazione a ciascun incarico politico, dovrà prevalere la valutazione delle qualità personali dei candidati rispetto alle vecchie appartenenze, a logiche oligarchiche o di corrente, a pratiche più o meno lottizzatrici.”
    Veltroni assemblea costituente, Milano, 27 ottobre 2007

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