A proposito di mafia
Lo splendido articolo uscito sabato sul Riformista in cui Gianni Cuperlo spiegava il perché della sua astensione sulla mozione del Pd che chiedeva le dimissioni di Nicola Cosentino – il sottosegretario accusato di legami con la criminalità organizzata da cinque pentiti, e per questo oggetto di una dura campagna da parte dell’Espresso – è già stato variamente commentato. Massimo Adinolfi, per esempio, ne ha sottolineato le ultime righe, con la “rivendicazione di quello che da quindici anni a questa parte, dalla discesa in campo di Berlusconi, era ed è diventato quasi un insulto. Insomma: una specie di coming out, di questi tempi”. E cioè questo (il corsivo è mio):
Sono un funzionario di partito che attualmente siede in Parlamento. Ma infine, credo di essere un uomo perbene. Che può sbagliare anche tre volte al giorno ma che sa distinguere tra il valore di legalità e democrazia e gli interessi di parte. Spiace doverlo scrivere.
Se lo deve scrivere, la ragione sta nella vergognosa accusa di Claudio Fava, che in un’intervista all’Unità aveva parlato di un “baratto” tra accordo sulla legge elettorale per le europee e “lotta alla mafia”. Ma Fava, come i tanti giornalisti e intellettuali che su questa vicenda non hanno esitato a usare parole simili – si è arrivati persino a pubblicare la lista degli astenuti e dei contrari alla mozione, indicandoli in pratica come collusi con la mafia – non sono mai stati “funzionari di partito”. E si vede, anche e forse tanto più quando diventano, grazie a campagne come questa, non semplici funzionari ma addirittura segretari di partito (Fava è il segretario di Sinistra democratica, per chi non lo sapesse). Ma veniamo al merito della mozione. Scrive Cuperlo:
Nel testo si fa riferimento alle circostanze (nello specifico le deposizioni di alcuni pentiti) riportate da un’inchiesta pubblicata dal settimanale L’Espresso il 9 ottobre 2008. La stessa mozione riconosce che la chiamata in correità non costituisce in sé né una prova né una condanna. Ma è tuttavia significativo, prosegue la mozione, “che la procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli abbia – secondo quanto si apprende dalla stampa – iniziato un procedimento penale nei confronti dell’onorevole Cosentino”. Mi permetto di sottolineare quel, “secondo quanto si apprende dalla stampa”.
E ancora:
La “stampa” riporta le dichiarazioni di alcuni pentiti (quattro o cinque). Il governo, per parte sua, dichiara in Parlamento che Cosentino non solo non ha (ancora) subito per quelle accuse un rinvio a giudizio ma non ha ricevuto un avviso di garanzia e neppure risulta iscritto nel registro degli indagati. Nulla. Il Parlamento che fa? Prendendo atto della denuncia di alcuni organi di stampa e in assenza di atti specifici della magistratura e tanto meno di una o più sentenze di un tribunale ne vota le dimissioni. Più precisamente vota un invito alle dimissioni.
E soprattutto:
Penso al precedente. Penso alla possibilità di delegare a singoli giornalisti, o alla proprietà dei giornali e dunque al potere finanziario di alcuni, la responsabilità di assolvere o condannare un esponente politico. Penso a quale sbrego istituzionale si determinerebbe. Ecco perché mi sono astenuto. Non per assolvere a priori l’onorevole Cosentino. Mi sono astenuto perché non voterò mai un atto formale che fa discendere la condanna di un cittadino non già dall’autonomia della politica o dal pronunciamento di una corte di giustizia ma dall’inchiesta di un cronista.
Ecco. Personalmente, io penso tutto il male possibile dell’accordo sulla legge per le europee e non sono certo un convinto sostenitore della linea seguita sin qui, su questo come su tanti altri temi, da Walter Veltroni. Ma dare del mafioso a lui, a Cuperlo, a D’Alema e a decine di altri parlamentari del Pd – peraltro ciascuno con posizioni molto diverse sulla riforma della legge elettorale – è un segno del vergognoso imbarbarimento della lotta politica che da quindici anni si conduce in Italia a mezzo stampa e spesso “per procura”. E penso che il vero scandalo, tragico segno dei tempi, non sia il fatto che tanti parlamentari del Pd, compreso il segretario, non abbiano votato la mozione firmata da capogruppo e vicecapogruppo del loro partito – come sostengono l’Unità, Travaglio e la solita compagnia di giro – ma che quella mozione sia stata presentata.
però c’è anche quell’altro aspetto.
in Francia o in Germania, di fronte ad un servizio giornalistico come quello dell’Espresso, cosa sarebbe successo?
io penso che il sottosegretario tedesco o francese si sarebbe dimesso. Volente o nolente. E non spinto dalla piazza o dai tiramonetine.
Ma da una opinione pubblica o da una società politica che, giudizi di colpevolezza a parte, non tollera certi livelli di ambiguità e ombra nel governo nazionale.
Cesare, la moglie di Cesare, eccetera.
ho l’impressione che in francia e germania non sia diverso solo il comportamento dei politici, ma anche quello di magistrati e giornalisti. e che tra le due cose esista una relazione.
Sono d’accordo con Cundari, e lo sono a tal punto da chiedermi: se il tipo (del quale non so nulla) si dimette, e tra 1 anno o 2 appare, nei necrologi del secolo XIX, che non c’entrava nulla, con chi se la prende? Con i magistrati che non rispondono di nulla?
Tortora non ha insegnato nulla? I 2 PM che lo hanno massacrato hanno fatto una carriera roboante, i pentiti usati alla bisogna hanno goduto di tutti i benefici, mentre tutti i gradi di giudizio li sputtanavano.
Io se fossi il sottosegretario e fossi persino innocente, col cavolo che mi dimetto.
Vogliamo convincerci che non parliamo di cose di questo mondo? La magistratura italiana è un mondo parallelo, non si incontra mai con nulla che sia umano e logico. Al massimo succede che inciampi nella gente e la schiacci, ma non è cattiveria, sono cose che succedono a chi ha altro a cui pensare.