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Mettetevi in fila e non spingete

09/02/2009

Ho passato buona parte degli ultimi cinque o sei anni a sostenere l’idea del partito unico Ds-Margherita. Polemizzando, litigando, scrivendo e discutendo un po’ ovunque con tutti quelli che erano contrari: nel partito in cui allora militavo (i Ds), in particolare con i veltroniani (lo so, ora la storia ve la raccontano un po’ diversa), e sui giornali con quasi tutti coloro che all’indomani della candidatura di Veltroni alle primarie si sarebbero trasformati nei più acritici sostenitori del Pd (io invece ne sarei uscito, o per meglio dire non ci sarei entrato, specialmente per il modo in cui quella candidatura era nata e per quello che prometteva, e che purtroppo avrebbe mantenuto). Tra i pochi che al Pd rimasero contrari c’erano quelli, come Emanuele Macaluso, realmente convinti che un partito Ds-Margherita fosse impossibile, per ragioni politico-culturali insuperabili. Una convinzione piuttosto diffusa a sinistra, alla base, anche tra molti di coloro che al Pd avrebbero comunque aderito, o che quanto meno lo avrebbero votato. Pure con tutti costoro, in questi anni, ho continuato a litigare, sostenendo che non capivano niente di politica, perché il problema non era il Pd, sostenevo, ma quelle assurde primarie del 2007 (quelle con vincitore predeterminato, sostenuto da una “pluralità di liste” che andavano in pratica dall’estrema destra all’anarco-sindacalismo, un po’ come le elezioni padane, per chi se le ricorda). E va bene, adesso le cose sono ancora un po’ complicate e io aspetto di capire meglio come andrà a finire questa storia – parlo ovviamente dell’iniziativa del governo sul caso Englaro – ma più passa il tempo e più comincia a farsi strada in me un tremendo sospetto. Non ne sono ancora sicuro, per ora bisogna stare a vedere. E magari alla fine mi convincerò che tutto è andato se non altro per il meno peggio, che le cose sono complicate e che c’è sempre quella storia del diventare un po’ pessimisti, eppure continuare a fare quel che si può. Resta il fatto che da qualche giorno a questa parte più leggo i giornali e più mi tornano in mente le parole del sommo poeta, Cesare Pascarella, quando descriveva la prostrazione di Colombo dopo oltre un mese di navigazione, con l’equipaggio che lo guarda in cagnesco, le provviste che calano e non un filo di terra in vista.

E io ne la mia piccola ignoranza
Me c’investo. Fa tutto quer cammino,
Arrivà in arto mare, arrivà insino…
Insino… a quello straccio de distanza,

E védete la morte in lontananza;
Volé vive, e sentitte lì vicino,
Ne l’orecchie, la voce der destino
Che te dice: lassate ‘gni speranza!

Ma pensa quer che deve avé sofferto
Quell’omo, immassimato in quer pensiero
De dì: – La terra c’è… Sì! Ne so’ certo…-

E lì, sur punto d’essece arrivato,
Esse certo e sicuro ch’era vero,
E dové dì: vabbè, me so’ sbajato.

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