Soviet + elettrificazione, il programma del dipietrista filosofo
Roma. La candidatura di Gianni Vattimo con l’Italia dei Valori alle europee di giugno – nelle circoscrizioni Nord-ovest, centro e sud – è soltanto l’ultima tappa di un percorso cominciato esattamente dieci anni fa, quello del filosofo prestato alla politica, e più volte restituito alla filosofia, ora dagli elettori, ora dai vertici dei diversi partiti con cui si è candidato, e con cui è regolarmente entrato in conflitto. Celebre è rimasto il suo scontro con i Ds, che nel 2004 gli negarono la ricandidatura, preferendo a lui, filosofo di fama europea – si lamentò Vattimo sui giornali – una “oscura casalinga”, l’attuale presidente del Piemonte Mercedes Bresso. Una ferita che non si è mai richiusa. “Tra noi è rimasta una certa ruggine”, ammette lui. “Ma io mi sono già scusato più volte, con le casalinghe e anche con la Bresso, sebbene senza successo… fatto sta che lei si è sbafata il mio posto e poi è andata a fare il presidente di regione, lasciando il seggio a Gianni Rivera, un calciatore che magari avrà fatto benissimo, non lo so, ma insomma…”. A lanciare Vattimo in politica, alle europee del ’99, fu dunque Walter Veltroni. Ma l’allora segretario dei Ds, in verità, non era stato il primo a chiamarlo. Il primo, infatti, era stato Gad Lerner, per invitarlo a candidarsi con l’Asinello di Romano Prodi. “Io ero anche abbastanza orientato ad accettare”, racconta il filosofo. “Ad allontanarmi fu l’amor proprio, quando seppi che come capolista volevano mettere Cacciari”. Massimo Cacciari, un altro filosofo. Dinanzi a un simile affronto, Vattimo si rivolse direttamente a Prodi. “E lui, un po’ ipocritamente, mi disse: facciamo un bell’ordine alfabetico”. Considerato però che la “v” viene subito prima della “z”, Vattimo declinò la proposta, e alla fine si candidò con i Ds. Anche lì, però, resistette appena il tempo di un mandato, fu emarginato, quindi passò ai Comunisti italiani. E ora si candida con Antonio Di Pietro. “Con Di Pietro, ma a sinistra”, come recita il suo blog. Un’avversativa che Vattimo, dopo averlo conosciuto meglio, si ripromette di togliere. “Se si concepisce la sinistra come opposizione al regime neoliberista e neocapitalista, perché no? E anche se si pensa al comunismo, definito da Lenin ‘soviet + elettrificazione’. I soviet erano semplicemente consigli popolari, operai e contadini. Una produzione controllata e diretta il più possibile dal popolo e non dai capitalisti credo che a Di Pietro vada benissimo”. E anche l’elettrificazione certo non può dispiacergli, da ex ministro delle Infrastrutture. “Quando penso al comunismo penso a questo, e questo può funzionare solo dove le leggi sono uguali per tutti”, conclude il filosofo, chiudendo il cerchio. Anche Giulio Tremonti, però, non gli dispiace. Ma non ha ancora avuto modo di conoscerlo bene. “Non so perché, ma faccio parte anch’io dell’Aspen Institute, come lui. Solo che non ci vado mai, perché non so che faccia fare”. Una sensazione già splendidamente descritta in un suo libro autobiografico, sempre a proposito dei suoi controversi rapporti con l’establishment: “Ero uno che poteva andare a cena dall’Avvocato, ma non poteva portare nessuno”. Nell’Italia dei Valori, invece, si trova benissimo. Da giovane è stato radicale e ora si dice comunista, anche se nel Pci non è mai stato. Anzi, proprio per questo. “Non essendo mai stato comunista, sono l’unico che possa esserlo ora. Tutti quelli che lo sono stati in passato, infatti, fanno di tutto per farlo dimenticare. Io questo problema non ce l’ho”. (il Foglio, 7 maggio 2009)
Prescindendo dalla filosofia, non ho mai sentito Vattimo dire una sola cosa, dico una, che dimostrasse una conoscenza decente di quello di cui parlava e una conseguente adeguata capacità di analisi. Qualche slogan, qualche boutade, qualche frase ad effetto, poi null’altro.