“Non sarò Clemente”, libro-verità di un candidato particolare
Roma. “Il mio stato d’animo è quello di uno che deve ricominciare da capo. Completamente nudo”. Ministro della Giustizia nel governo di centrosinistra, Clemente Mastella è l’uomo che ha ritirato la fiducia all’esecutivo di Romano Prodi, determinando la crisi che avrebbe portato alle elezioni. Elezioni in cui, per la prima volta da parecchio tempo, non ha trovato posto. Ma non è pentito. A giugno uscirà la sua versione dei fatti, un libro intitolato “Non sarò Clemente”, per Rizzoli. E sempre a giugno Mastella tornerà davanti agli elettori, candidato alle europee nella circoscrizione Sud, con il Pdl. Ma non pensa che in questo ci sia nulla che non vada. “Fate il conto di quante persone sono passate da una parte all’altra, da un estremo all’altro, e si parla solo di me… io però sono rimasto sempre lo stesso. Con tutti i torti che ho subito dai pm, per esempio, continuo a pensare che l’autonomia della magistratura sia sacrosanta, a essere contro la separazione delle carriere…”.
E così Mastella ricomincia da capo. Nudo. “Nudo di tutto quello che mi è stato costruito attorno… un’immagine caricaturale, come se fossi l’uomo più potente d’Italia… e invece adesso sono qui, riparto da zero, e vediamo se raccolgo ancora un po’ di consenso…”. Perché stavolta, per essere eletti, ci vogliono le preferenze. “Ho letto sul Magazine del Corriere della Sera un articolo di Gian Antonio Stella che ironizza su di me, definendomi il ‘nuovo che avanza’… ma lui quant’è che sta al Corriere? Perché se un giornalista resta al suo posto fino a novant’anni è un decano, un maestro e un esempio per tutti, mentre se lo fa un politico è un mascalzone? Qual è la differenza?”. Già, qual è? “L’unica differenza è che se un politico debba restare al suo posto lo decidono gli elettori”. Non sempre, per la verità. “Di sicuro è così per queste europee. Dunque, per quanto mi riguarda, lasciatelo decidere agli elettori, se devo essere eletto o no”. E se gli elettori dovessero decidere di no? “Se gli elettori decideranno di no, pazienza. Vorrà dire che la mia vicenda politica si chiuderà qui”. Difficile trattenere un moto d’incredulità. “Così come non ho mai accettato l’estromissione in modo violento, con le campagne mediatico-giudiziarie, così mi sembrerebbe giusto accettare l’unico giudizio democraticamente valido, quello degli elettori. Poi è ovvio che farò di tutto per essere eletto, ma se non dovessi riuscirci, mi rasserenerò”. Resta, naturalmente, l’amarezza per le “cattiverie mediatico-giudiziarie” subite. “Siamo un paese in cui un pm può mettermi sotto inchiesta, mentre sono ministro della Giustizia, per un affare di 150 mila euro che gli stessi carabinieri che hanno raccolto le prove, mica il mio avvocato, i carabinieri, dicono che è avvenuto due anni prima del mio arrivo al ministero. E infatti sono stato assolto. Dopo essere stato massacrato, però. E adesso, quello stesso pm, Luigi De Magistris, me lo ritrovo candidato con l’Italia dei valori”.
Recentemente, Prodi ha raccontato in tv di quando Mastella si affacciò nel suo ufficio, non appena Walter Veltroni ebbe annunciato l’intenzione di presentare il Pd da solo alle elezioni, e gli disse che volevano farlo fuori, ma sarebbe stato lui a farli fuori per primo. “Le cose sono andate in modo leggermente diverso”, replica Mastella. Come, però, non vuole dirlo (“L’ho scritto nel mio libro”). E comunque rifiuta l’accusa di carnefice. “La maggioranza non aveva più alcuna corrispondenza nell’elettorato, come dimostra il fatto che alle successive elezioni la sinistra è sparita”. Dunque non è stata tutta colpa di Veltroni, dei giudici o dei giornali. “Veltroni è stato quello che ha premuto il grilletto”. E Prodi? Negli ultimi tempi, dopo tante critiche, sembrerebbe in via di riabilitazione. “E’ il complesso del coccodrillo. Prima ti mangiano e poi versano le lacrime”. Per Mastella, tuttavia, la riabilitazione non sembra ancora arrivata. “Perché io sono un pasto più sostanzioso, ci vuole più tempo… e anche un pasto decisamente più allettante, non corro mica in bicicletta, sono tutto polpa”. (il Foglio, 8 maggio 2009)