Il Grande elettore
Roma. Dai dirigenti del Partito democratico è vista ormai come un vero e proprio partito. Dalla base militante e da buona parte dell’elettorato è considerata la sola opposizione a Silvio Berlusconi. E’ insomma una sorta di “primato morale” quello che Repubblica ha recuperato a sinistra con il “caso Letizia”, su cui ha bruscamente corretto la linea del Pd (oscurando in compenso la concorrenza dipietrista). Un capitale che il giornale-partito spenderà certamente sul congresso di ottobre.
Con l’editore del gruppo Espresso, Carlo De Benedetti, Dario Franceschini ha da sempre un buon rapporto. E da anni è anche ottimo amico del direttore di Repubblica, Ezio Mauro. Eppure la prima reazione di Franceschini sul “caso Letizia” era stata un secco e apparentemente irremovibile: “Tra moglie e marito non mettere il dito”. Ma ben presto ha finito per allinearsi anche lui, con tutto il Pd.
“Io non sono, com’è noto, un fanatico simpatizzante di Repubblica”, ha detto Massimo D’Alema in un’intervista rilasciata proprio a Repubblica Tv. “Ma senza dubbio – proseguiva l’ex premier – in questo caso Repubblica ha svolto un ruolo importante per la coscienza civile del paese, con grande rigore giornalistico e con grande forza morale”. Sul valore civile e morale della campagna giornalistica ognuno può giudicare da sé. Certo è che la campagna elettorale ne è stata stravolta. Dalla battaglia sull’assegno ai disoccupati o sul credito alle imprese, infatti, lo scontro si è spostato sui valori e sulla coerenza personale del premier. E se nella prima fase, per ovvie ragioni, cresceva il ruolo di Pier Luigi Bersani, ex ministro dello Sviluppo e responsabile economico del Pd, nella seconda fase, a guidare la battaglia sui valori era in pratica il solo segretario. Agli onori delle prime pagine, in verità, Franceschini pagava anche un prezzo, con l’infelice battuta (“Fareste educare i vostri figli da quest’uomo?”) che ha provocato indignate reazioni dei figli del premier.
(segue dalla prima pagina) Non era però una battuta sfuggita in un momento di nervosismo e catturata al volo da qualche cronista implacabile, ma una dichiarazione pensata e misurata in ogni virgola (sia pure con qualche evidente approssimazione). Fatto sta che del rivale di Franceschini al congresso non si ha più notizia da tempo.
E così, dopo avere incoronato Walter Veltroni (e avere incassato da lui la nomina a direttore dell’Unità di una celebre firma di Repubblica come Concita De Gregorio); dopo avere preso per mano il suo successore nel momento più difficile (e avere ottenuto da lui la nomina di una celebre firma di Repubblica come Paolo Garimberti a presidente della Rai); ecco che il “partito di Repubblica” si appresta a incoronare anche il prossimo segretario del Pd. Se il risultato delle europee sarà appena difendibile – com’è probabile, non foss’altro che per carenza di aspettative – il candidato di Repubblica sarà Franceschini. Se invece il voto sarà proprio una catastrofe, Repubblica non potrà che schierarsi con il sicuro vincitore – non foss’altro che per mancanza di alternative – e cioè con Bersani (peraltro anche lui in ottimi rapporti con De Benedetti). Quanto agli altri dirigenti, per Franco Marini e i popolari vale lo stesso ragionamento; mentre per Massimo D’Alema potrebbe valere un ragionamento speculare: schierato da tempo con Bersani, nel caso in cui Franceschini riuscisse a intestarsi un miracoloso recupero elettorale, potrebbe sempre cambiare campo. Ma forse sarebbe proprio Bersani, in tal caso, a cedere il passo a quello che i giornali presenterebbe certamente come il salvatore del partito.
Attorno al congresso di ottobre corrono però anche altre voci, che parlano di “volti nuovi” e “splendidi quarantenni” pronti a sparigliare. Di Nicola Zingaretti, presidente della provincia di Roma, si parla da mesi. Ma circolano pure due nomi nuovi. Entrambi destinati a misurarsi, con le preferenze, già a queste elezioni: Roberto Gualtieri (sostenuto dai dalemiani) e Debora Serracchiani (sostenuta dai veltroniani). Entrambi alla prima candidatura, non hanno certo il peso per contrapporsi a Franceschini e Bersani. E forse neanche per sognare un ticket. Sullo sfondo di ogni ipotesi resta sempre, però, lo scenario catastrofico. Se il risultato del Pd fosse troppo pesante (attorno al 25 per cento, si dice) tutto diverrebbe plausibile. Dalla scomparsa del partito per microscissioni successive, fino all’ipotesi di un congresso dall’esito non scontato, con più candidati. E allora la carta del rinnovamento e dello spariglio potrebbero essere in molti a giocarla. Una carta che per ogni evenienza sia D’Alema sia Veltroni sembrano avere già pronta nella manica. (il Foglio, 3 giugno 2009)
Come mai non riesce il PD in quello che ha fatto Repubblica?
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