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Sul Pd piomba il documento delle donne

06/08/2009

Il documento delle donne, antica tradizione di tanti congressi del Pci, ci sarà anche questa volta, al congresso del Partito democratico. Documento trasversale, naturalmente, sottoscritto da esponenti di tutte e tre le mozioni (o anche di nessuna), da Anna Finocchiaro a Rosy Bindi, da Marina Sereni a Sandra Zampa, da Paola Concia a Pina Picierno, Mercedes Bresso, Livia Turco. Torna alla mente il documento delle donne presentato proprio da Livia Turco alla fine degli anni Ottanta, con una proposta di statuto che cominciava così: “Articolo 1. Il Pci è un partito di donne e di uomini” (e un vecchio cronista dell’Unità, leggendo, esplodeva: “Maremma maiala, e prima che eravamo, un partito di cani e porci?”). Manca, ma siamo sicuri che è solo questione di tempo, il documento trasversale per il rinnovamento.
C’è infatti un robustissimo filo comune che lega la filosofia, il lessico, la visione del mondo che ispira il documento delle donne e i tanti appelli, documenti e dichiarazioni per il rinnovamento, il ricambio generazionale e l’apertura alla società civile che in questi anni si sono succeduti. La parola chiave che si ritrova ossessivamente in entrambi i casi è “merito”. In nome del merito, per esempio, il documento delle donne dice che “l’obbligo della presenza del 50 per cento di donne nelle assemblee e negli organismi dirigenti ed esecutivi… da solo non basta”. Dunque “dobbiamo dotarci anche di altri strumenti per rendere effettivo quell’obiettivo”. E pertanto “di qui in avanti sarà forte e chiaro il nostro no a un uso maschile del 50 per cento che esclude interi pezzi della classe dirigente femminile e tiene conto più delle fedeltà che del merito”. Evitiamo di citare, per brevità, i molti passaggi analoghi o addirittura identici che si potrebbero trarre da simili appelli per il ricambio generazionale e l’apertura alla società civile. Non c’è richiesta di cooptazione, corsia preferenziale, quota – dalle più ragionevoli alle meno – che non venga avanzata in nome della meritocrazia. Ed è significativo che nell’elenco dei casi in cui il “principio del 50 per cento” si è dimostrato insufficiente il documento delle donne democratiche metta in cima il fatto che “siano ancora troppo poche” le donne presenti al Parlamento europeo. Il problema è cioè il risultato dell’unica tornata elettorale nazionale in cui ai cittadini è dato ancora di scegliere, democraticamente, chi eleggere e chi no. E’ evidente che qui, con le preferenze, non vige un principio meritocratico, non è garantito in alcun modo che a essere eletti siano i più preparati, i più competenti, i più capaci – come sarebbe se la scelta avvenisse attraverso un concorso per titoli, o se comunque la valutazione spettasse a una giuria debitamente qualificata – e il motivo per cui tutto questo non accade è che un altro è il principio. Il principio è che i rappresentanti del popolo li sceglie il popolo, a suo insindacabile giudizio, capaci o incapaci, preparati o impreparati che siano. Si chiama democrazia.
Conosciamo l’obiezione: gli apparati, le correnti, i soliti “capibastone” maschi (o vecchi) sbarrano la strada alle donne (o ai giovani), premiando, appunto, più la “fedeltà” che il “merito”. E’ lo stesso ragionamento in base al quale, sempre per la promozione della partecipazione femminile, sono nate in questi anni tante associazioni e iniziative trasversali, che univano parlamentari dall’estrema destra all’estrema sinistra. E’ la stessa retorica che unisce oggi, dentro il Pd, tante esponenti di mozioni diverse, che in nome della partecipazione femminile si impegnano sin d’ora a iniziative comuni, per combattere insieme lo strapotere di quegli stessi dirigenti che si apprestano a sostenere nel congresso. Dunque, delle due l’una: o davvero c’è un problema democratico – augurandoci che questo intendano, e che l’appello al “merito” sia solo una concessione retorica allo spirito del tempo – e allora non si capisce cosa aspettino a darla, questa sacrosanta battaglia per la democrazia, donne e uomini, giovani e vecchi; oppure il vero problema è che in quel meccanismo così poco democratico che ufficialmente deprecano, dentro il partito come nelle istituzioni, vogliono solamente qualche posto in più. E per questo si esprimono, si muovono e si organizzano non già come una corrente (che come tale, democraticamente, si presenta al congresso) o come un partito (che come tale si presenta agli elettori), ma come una lobby. Una lobby che simili meccanismi, come tutte le lobby di questo mondo, non vuole cambiarli affatto. Perché vuole usufruirne. (il Foglio, 6 agosto 2009)

7 commenti leave one →
  1. destralab permalink
    06/08/2009 19:58

    non so se quanto farà piacere, ma
    qui ti hanno messo tra i blog di centrodestra :-)

    • francesco cundari permalink
      07/08/2009 09:43

      molto poco. soprattutto perché temo non ci siano gli estremi per una querela, che almeno ci guadagnavo qualcosa. dove si manda la diffida?

  2. destralab permalink
    06/08/2009 20:13

    non so quanto ti farà piacere

  3. 06/08/2009 22:30

    Non posso che segnalarti una iniziativa di Riciard’s, ferma per adesso, ma con tanta voglia di riprendere il confronto a settembre. Si tratta di una discussione dalle molte anime che chiede provvedimenti al fine di parificare la società tra uomini e donne, nella quale ha avuto un piccolo ruolo, speriamo grande in futuro, anche Anna Paola Concia:

    http://riciardengo.blogspot.com/search/label/Anna%20Paola%20Concia

  4. 07/08/2009 21:41

    Vabbè, allora vediamo se sono rozzo a sufficienza. A me sta cosa delle donne mi fa moderatamente incazzare, ma solo perchè sono un uomo. Se fossi una donna avrei la bava alla bocca, da tanto è ormai nauseabonda e stantia.
    Non riesco purtroppo a vincere il pregiudizio che chiunque faccia solo un accenno alla “questione”, stia in realtà pensando ad altro. Sbaglio? Forse, ma se sì, di poco.
    Pace e buone ferie a tutti :-)

  5. 10/08/2009 13:19

    [applausi]

  6. 11/08/2009 17:53

    Pare che il tuo programma politico sul “dire sempre la verità” sia stato recepito, quantomeno da La Russa e Frattini.

    Da oggi siamo una nazione che NON ripudia la guerra…
    http://riciardengo.blogspot.com/2009/08/frattini-litalia-e-in-guerra.html

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