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Sondaggi balneari

12/08/2009

Roma. L’ultimo sondaggio dell’Ipr Marketing sulle primarie del Partito democratico, che dà Pier Luigi Bersani in testa con il 54 per cento e l’attuale segretario fermo al 35, sarà magari poco trasparente, farlocco o taroccato, come dicono o lasciano intendere i sostenitori di Dario Franceschini. E certo qualche argomento ce l’hanno, almeno per quanto riguarda la presunta scomparsa delle primarie (secondo la rilevazione pubblicata ieri dal Riformista, “appena” l’8 per cento di tutti gli elettori italiani sarebbe intenzionato a partecipare).
Il fatto è che già i sondaggi sulla partecipazione al voto, in generale, hanno poco senso. Ma a tre mesi di distanza, in piena estate, non ne hanno alcuno: sembra di vederlo, l’ignaro vacanziere democratico, già col costume da bagno indosso, bloccato al telefono dal sondaggista che lo incalza con una sfilza implacabile di domande: “E’ certo di non avere impegni quel giorno? E se poi piove? Siamo sicuri che fra tre mesi avrà ancora voglia di andare, non è che poi mi cambia idea all’ultimo minuto?”. E’ ragionevole pensare che la risposta di gran lunga più frequente a simili domande non sia stata riportata affatto, tra i risultati ufficiali, perché irriferibile.
Di sondaggi sbagliati sono lastricate le vie dell’opposizione, e l’intero percorso del Pd, dalla sua fondazione a oggi. Quest’ultima rilevazione lascia però un’impressione, giammai di verità, ma di verosimiglianza, che forse è anche peggio, per Franceschini. L’impressione, insomma, che si era già capito, che c’eravamo arrivati da soli, che non c’era bisogno di aspettare l’Ipr Marketing. E non certo a causa della trascinante campagna di Bersani, che un trascinatore non lo è mai stato e non lo è diventato adesso. Uno che prima si candida e poi si tira indietro, e anche quando finalmente si decide lo fa sempre con la faccia di chi arriva per ultimo e gli dicono che si deve sedere a capotavola. Per educazione.
L’impressione è che sia proprio Franceschini a non avere mai ingranato. Non serve fare l’elenco dei passi falsi. Basta e avanza quel video in cui si proclamava, lui segretario in carica e vicesegretario dalla nascita del partito, come l’uomo nuovo chiamato dal destino per non lasciare il partito a “quelli che c’erano prima”. I quali, stando in gran parte nella sua stessa mozione e dovendolo votare, non hanno tardato a dichiarare su tutti i giornali quanto quella prima uscita del loro leader li avesse irritati.
Non è questione di comunicazione. Il fatto è che persino il più consumato degli attori deve riconoscere alcuni limiti oggettivi e invalicabili: Paul Newman potrà essere un grandissimo cowboy, uno splendido giocatore di biliardo e un meraviglioso truffatore; ma è evidente che per la parte del campione di sumo o della regina d’Inghilterra bisogna chiamare qualcun altro. Incoronato segretario nemmeno tre mesi prima da tutti i dirigenti nel chiuso di una stanza, contro i sostenitori delle primarie e del partito aperto, Franceschini poteva presentarsi in tanti modi – garante dell’unità in quanto segretario uscente, paladino dei cattolici in quanto cattolico, paladino dei laici in quanto cattolico capace di zittire Paola Binetti, garante della sinistra in quanto unico segretario in grado di assicurare l’aggancio del Pd al Pse – ma non come il campione delle primarie e l’uomo della società civile.

Veltroni si nasce
Franceschini avrebbe dovuto capirlo subito, e avrebbe dovuto spiegarlo per tempo ai suoi sostenitori, che la parte di Beppe Grillo non gli poteva riuscire. Se quello doveva essere il copione, allora sarebbe stato meglio candidare direttamente Debora Serracchiani, o David Sassoli, o Marianna Madia. Ma tralasciando il fatto che a quanto sembra pure la Madia voterà per Bersani – e in questo sentiamo esserci una profonda lezione, anche se non sapremmo dire esattamente quale – è chiaro che Franceschini, al contrario della giovane capolista lanciata da Walter Veltroni alle politiche del 2008, tutto avrebbe potuto offrire meno che la sua “inesperienza”. Su quel piano, anche Ignazio Marino (11 per cento secondo l’Ipr) appare meglio piazzato di lui.
Si dirà che in fondo le stesse osservazioni si sarebbero potute rivolgere a Veltroni, il quale nonostante tutto questo alle primarie del 2007 prese milioni di voti. Ma la verità è che Veltroni è inimitabile, perché è già egli stesso una superba, credibilissima imitazione di se stesso. La sua parabola è la curva asintotica del nuovismo italiano: Veltroni è uno dei simboli del rinnovamento nel Pci degli anni Ottanta, è la carta della novità nei Ds degli anni Novanta, è lo scatto d’innovazione nel Pd degli anni Duemila. E si può scommettere sin d’ora che alle elezioni del 2013 – o al più tardi quelle del 2018 – sarà senza dubbio lui l’ultimo grido della moda cui la nuova coalizione di centrosinistra, nel frattempo rimessa faticosamente in piedi da Bersani, si rivolgerà supplicante per sconfiggere il centrodestra. Non certo Franceschini. (il Foglio, 12 agosto 2009)

3 commenti leave one →
  1. 13/08/2009 08:06

    Bersani è un troppo generico.

  2. 13/08/2009 20:26

    bah, Franceschini perde perché è un ex dc e il corpaccione ex pci non lo vota a prescindere, dicesse quello che vuole.
    tipo un Esposito o un Bombace alle primarie (molto eventuali) della lega.

  3. darmix permalink
    30/08/2009 09:09

    beh ero distratta dalle vacanze, letto tardi la notizia. In bocca al lupo. Invece di leggerti qua ti seguirò in tv.

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