False friends
“Per la prima volta da quando Ronald Reagan disse all’America che il vero problema è l’intervento del governo, Obama riafferma oggi la centralità del governo nella sua capacità di fornire una soluzione a una situazione drammatica”. Così Robert Reich sul Corriere della sera (dove peraltro la traduzione gli fa dire anche che il periodo del New Deal rappresentò “un’aberrazione storica” dalla lunga tradizione antistatalista americana, ma non c’è bisogno di sapere l’inglese per capire che “aberration” stava per “deviazione”).
Sull’Unità di oggi, Walter Veltroni spiega che la riforma della sanità americana è un po’ quello che voleva essere il Lingotto – se non vi ricordate nemmeno cosa sia il Lingotto non c’è altro da dire, avete ragione voi – ma soprattutto lascia capire che i soliti capicorrente del Pd remavano pure contro Obama, in realtà. L’editoriale del direttore è dedicato invece alla politica interna, e comincia così: “Il Papa e Papi, che duetto”.
A sinistra si tende ora a sottolineare il contrasto tra l’altezza e insieme la concretezza del dibattito politico americano sulla sanità e la rissosa inconsistenza della politica italiana. E’ una constatazione che è difficile smentire. Ma se in Italia avessimo avuto il sistema sanitario americano, e il Pd avesse fatto quello che ha fatto Obama, prima cercando un’intesa bipartisan con la destra, quindi rinunciando alla “public option” e infine accettando il compromesso con gli antiabortisti per ottenerne il voto, potete immaginare da soli quale sarebbe stato il tenore dei commenti tra gli stessi editorialisti, politici e blogger che in questi giorni inneggiano al presidente degli Stati Uniti, portandolo come esempio all’inconcludente sinistra italiana (se però qualcuno mi rispondesse: ma io i nostri li critico proprio perché non hanno fatto nessuna “riforma della sanità”, invece di preoccuparsi di simili scemenze – allora non avrei nulla da obiettare).
E’ vero anche che il livello becero dell’opposizione repubblicana e dei tea-parties e’ stato perfino peggiore della propaganda leghista, quindi non e’ che abbiamo proprio tutto da invidiare…
Invece di fare confronti con l’Italia sarebbe piu’ utile capire i pro ed i contro per il cittadino medio americano. Questo potrebbe aiutare a valutare l’operato di Obama (nel suo Paese), che’ politicamente e’ interessante. Storicamente, anche. Io ho trovato delle buone argomentazioni (saranno di parte, ma quantomeno sono argomentazioni) a questo link:
http://www.chicago-blog.it/2010/03/23/lobamacare-o-dello-statalismo-demagogico/
Ben vengano le obiezioni.
Certo che i nostri li critico perché non fanno nessuna ” riforma della sanità”. Ma se mai ci fosse qualcuno che prendesse a pretesto Obama per sottolineare il fatto che la politica della nostra opposizione si muove poco, non mi limiterei a dargli dello scemo, ma gli chiederei PERCHE’ ha deciso di diventarlo. O no?
E ora vorrei aggiungere una blasfemia: non è sempre giusto sbarazzarsi degli idioti.
L’altro giorno ho ascoltato Jonathan Gruber un economista del MIT uno tra i più influenti tra gli “ideologi” della riforma.
Lui stesso ha confermato la tesi secondo la quale la riforma è stata approvata solo scendendo a “compromessi” (“inciuci” dalle nostre latitudini).
Il “first best”, da molti punti di vista, sarebbe stato un “sistema universale” ( “single payer system”).
Tuttavia, sarebbe stato impossibile approvare una tale riforma perchè la maggioranza degli americani si trova comunque bene con l’attuale sistema (senza considerare la pressione delle lobbies).
A quel punto la soluzione è stata scendere a compromessi, riformando il sistema in una direzione che non risolverà molti dei problemi che il sistema attuale presenta (soprattutto sul lato dei costi) ma che permetterà di coprire una buona parte delle persone (non tutte!) senza copertura sanitaria…