Quanto può resistere l’invincibile Cav.?
27/03/2010
La campagna elettorale è finita. La prossima, salvo colpi di scena, cadrà a vent’anni esatti dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi. Naturale che in molti, nel centrodestra, tornino pertanto a interrogarsi sul proprio futuro. La straordinaria tenuta della leadership berlusconiana si deve infatti a un peculiare equilibrio tra forza politica e potere economico-mediatico: un equilibrio verosimilmente irripetibile, senza di lui. E il fatto stesso che all’ordine del giorno si ponga il tema della successione a Berlusconi – non solo in politica – non può non ripercuotersi, con effetti a catena, su tutto il sistema.
Per vedere il punto di caduta di questo processo, però, bisognerebbe prima definire il punto di partenza. Le opinioni in merito sono sostanzialmente due: da un lato chi sottolinea l’eccezionale concentrazione di potere nelle mani del premier, dall’altro chi ne lamenta la sostanziale impotenza. Anche nell’ultima polemica sull’inchiesta di Trani, e sulla trasmissione di Michele Santoro andata in onda l’altroieri, opposizione e maggioranza si sono divise lungo questa linea. E forse hanno ragione entrambe.
In fondo, è proprio la natura eccezionale delle risorse che Silvio Berlusconi è in grado di mobilitare a sollevare tanto potenti anticorpi. Da anni il presidente del Consiglio si trova quotidianamente al centro di attacchi, scandali e inchieste giudiziarie: è tanto forte da resistere, e infatti è ancora a Palazzo Chigi, ma anche tanto debole da non riuscire mai a venirne fuori, e infatti deve ancora farci i conti. Può vincere e anche a stravincere le elezioni, ma dopo ogni elezione, nel ’94, nel 2001 e nel 2008, quella forza dirompente sembra svanire di colpo, come se il leader fosse condannato a non poter mai raccogliere i frutti delle sue vittorie. Non a caso, a ogni vittoria è sempre seguita una sconfitta, almeno finora. Vedremo nel 2013, ma non si può negare che sin qui il copione sia stato rispettato alla lettera: c’è sempre un presidente della Camera sospettato di tradimento; ci sono sempre nuovi scandali a logorare il premier e la sua coalizione; c’è il conflitto aperto con tutte le istituzioni terze e di garanzia, e con la stessa maggioranza, alle quali si imputa la responsabilità dello stallo nell’azione di governo; e c’è, per l’appunto, lo stallo nell’azione di governo.
Sul Corriere della sera, Angelo Panebianco ha sostenuto che nel centrodestra vi sia un ruolo vacante, quello svolto dal Berlusconi liberista e antistatalista degli esordi, e si domanda perché Gianfranco Fini non occupi quella posizione. Il punto però è che il posto non è affatto vacante. La crisi economica mondiale ha consigliato anche a Berlusconi maggiore prudenza e duttilità su alcuni temi, ma ciò non toglie che sulla linea della rottura degli equilibri consolidati, sia sul piano economico-sociale sia su quello istituzionale, Berlusconi è invincibile. E’ occupando stabilmente quel ruolo che ha assunto la funzione di collante indispensabile tanto per la maggioranza quanto per l’opposizione. Un ruolo cui è rimasto, per l’appunto, incollato: bersaglio fisso di tutti gli avversari, almeno finora impossibile da abbattere, ma anche incapace di muoversi e uscire dall’angolo. Il risultato è una condizione di “reciproco assedio” senza mediazioni e senza limiti, in cui l’obiettivo minimo è la vittoria totale e l’annientamento dell’avversario, che si traduce in una costante paralisi, in una resa dei conti sempre rimandata allo scontro successivo. Buona parte della responsabilità di questa situazione è proprio di Berlusconi, che sembra psicologicamente incapace di giocare per meno di tutta la posta. Ma in questo modo, prima o poi, non potrà che perdere tutto. Lo dicono la statistica, il principio di realtà e i principi della termodinamica: l’equilibrio statico tra berlusconismo e antiberlusconismo non può reggere all’infinito, consuma un’enorme quantità di energie e non produce nulla. Anche per questo discutere in astratto pregi e difetti del bipolarismo italiano è inutile, se non si parte dal modo in cui quel sistema si è concretamente modellato attorno al leader del centrodestra.
L’annuncio della riforma presidenzialista da parte del premier, con l’appello ai gazebo, è ancora una volta nient’altro che la sfibrante riproposizione dello stesso schema: il tentativo di dare l’assalto finale, in una battaglia che sarà tutto meno che definitiva, e che mobiliterà e riunificherà assai più le forze di opposizione che i suoi sostenitori. Per questo sarebbe non solo nell’interesse del paese, ma anche nell’interesse di Berlusconi, provare per una volta a uscire davvero dal copione di questa nevrotica e immobile Seconda Repubblica. Berlusconi dovrebbe imboccare insomma la strada diametralmente opposta: promuovere egli stesso una limitazione istituzionale del suo potere, attraverso riforme che spezzino lo schema dell’attuale bipolarismo e gli tolgano così quel ruolo di leadership inamovibile di metà del paese che ha esercitato fino a oggi, sapendo però che la faccia nascosta di quel potere è la crescente e non meno inamovibile ostilità dell’altra metà. (il Foglio, 27 marzo 2010)
L’annuncio della riforma presidenzialista da parte del premier, con l’appello ai gazebo, è ancora una volta nient’altro che la sfibrante riproposizione dello stesso schema: il tentativo di dare l’assalto finale, in una battaglia che sarà tutto meno che definitiva, e che mobiliterà e riunificherà assai più le forze di opposizione che i suoi sostenitori. Per questo sarebbe non solo nell’interesse del paese, ma anche nell’interesse di Berlusconi, provare per una volta a uscire davvero dal copione di questa nevrotica e immobile Seconda Repubblica. Berlusconi dovrebbe imboccare insomma la strada diametralmente opposta: promuovere egli stesso una limitazione istituzionale del suo potere, attraverso riforme che spezzino lo schema dell’attuale bipolarismo e gli tolgano così quel ruolo di leadership inamovibile di metà del paese che ha esercitato fino a oggi, sapendo però che la faccia nascosta di quel potere è la crescente e non meno inamovibile ostilità dell’altra metà. (il Foglio, 27 marzo 2010)
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E quanto possiamo resistere noialtri?