Monetine e cicoria
La cicoria! Ecco la prima cosa che ho pensato, quando mercoledì sono arrivato in piazza Montecitorio, con ragionevole ritardo, al sit-in del Pd contro la “prescrizione breve” (a scanso di equivoci, sarà bene chiarire subito che non mi trovavo lì né come giornalista né come curioso, ma come partecipante). La prima cosa che mi è venuta in mente è un episodio del 25 maggio 2005, di cui suppongo di essere oggi il solo a ricordarsi in Italia (il mondo non credo se ne accorse nemmeno allora). Una minuscola manifestazione in piazza Santi Apostoli, davanti alla sede dell’Ulivo, per la prima riunione successiva allo sfogo rutelliano contro Romano Prodi e le sue pulsioni annessioniste (quelle che porteranno infine alla nascita del Pd). “Ho tirato la carretta, ho mangiato pane e cicoria per costruire il centrosinistra e consegnarlo a Prodi”, aveva detto Francesco Rutelli nell’assemblea della Margherita di pochi giorni prima, bocciando la lista unitaria con i Ds. E così, sei giorni dopo, dinanzi al portone della sede ulivista, un gruppetto di una ventina di persone, tutte ovviamente della “società civile” (gli altri venti presenti erano giornalisti), aveva inscenato a favore di telecamera la contestazione del reprobo, con tanto di cicoria fresca. Primo caso di contestazione politica, peraltro, in cui i contestatori fossero visibilmente più anziani dei dirigenti contestati (a scanso di equivoci, io mi trovavo lì come giornalista).
La seconda cosa che mi è venuta in mente mercoledì (ma anche allora) è “Il falò delle vanità”, inteso come romanzo di Tom Wolfe, e la sua descrizione di un certo genere di manifestazioni, in cui sono le telecamere a richiamare la folla, e non l’inverso. Anche questo, in fondo, è un pezzo di quel “modello americano” che la politica italiana insegue da quasi vent’anni, e che ha trovato in Silvio Berlusconi il suo massimo interprete.
Quello che è accaduto mercoledì è che per varie ragioni, a cominciare dal rachitismo organizzativo del Pd, il sit-in convocato da Pier Luigi Bersani è diventato in pochissimi minuti una manifestazione del popolo viola e dei dipietristi (non di Antonio Di Pietro o dell’Italia dei valori, attenzione, che non ne avevano il controllo più di quanto a suo tempo Arturo Parisi avesse il controllo dell’anziano signore che inseguiva Rutelli con la cicoria).
Il fatto molto sospetto che a quelle duecento persone scarse sia stato consentito di arrivare fino all’ingresso della Camera, per poi passare al lancio di monetine contro i parlamentari, non attenua la gravità dell’atto in sé, su cui tutte le forze di opposizione dovrebbero riflettere. D’altra parte, nel rattrappirsi dei partiti fino a occupare a malapena lo spicchio di strada illuminato dalle telecamere, nella loro incapacità di arrivare a nessuno fuori di quel circuito, sta certo una parte del problema. Ma un’altra parte sta nella conseguente sovrapproduzione di appelli alla mobilitazione e all’indignazione che su quel pubblico sempre più ridotto si riversa incessantemente.
Dal ’92 a oggi, dal “popolo dei fax” ai girotondi, fino al popolo viola, la piazza abbandonata dai partiti è stata occupata da una lumpen-borghesia sovra-informata e sovraeccitata: lettori regolari di Repubblica, spettatori assidui di Michele Santoro e fan instancabili di Beppe Grillo la cui coscienza civile è sottoposta a una stimolazione costante e implacabile. Il risultato è inevitabilmente o la nausea o il parossismo, dove l’indifferenza della maggioranza non fa che alimentare la furia della minoranza, e viceversa. Un circolo vizioso senza fine, che produce solo apatia e paranoia. Le due facce del bipolarismo italiano. (il Foglio, 1 aprile 2011)
Trackbacks