Senza famiglia
Domenica primo maggio, ospite della trasmissione di Lucia Annunziata “In mezz’ora”, Matteo Renzi ha detto che i sindacati sono “la coperta di Linus della sinistra”, e che “fatturano centinaia di milioni di euro” ma ”non riescono a rappresentare i ragazzi e le ragazze”. Parole che fanno riflettere, specialmente se pronunciate nel giorno della festa dei lavoratori, dal sindaco di Firenze, esponente del Partito democratico. Fanno riflettere, verrebbe da dire, per il loro suono, prima ancora che per il loro significato. E’ un peccato che nella sua intervista al Foglio, concessa solo qualche giorno prima, Walter Veltroni non potesse commentarle, mentre lanciava Renzi tra i leader del Partito democratico del futuro. D’altra parte, già alle elezioni del 2008, Veltroni aveva scelto come capolista in Veneto, come simbolo del partito aperto e moderno che aveva sempre sognato, una personalità del calibro di Massimo Calearo, che dei sindacati e di tutto quello che attiene ai lavoratori e alla sinistra ha detto cose ben più sprezzanti.
E così, mentre il sindaco di Firenze si rivolgeva ai sindacati con parole che Vittorio Feltri avrebbe giudicato volgarmente provocatorie, nel giorno della festa dei lavoratori, la chiesa cattolica celebrava la beatificazione di Giovanni Paolo II. Nei commenti circolati su Internet, tra blog e social network, l’anticlericalismo progressista non si è risparmiato (d’altra parte, se si risparmiasse, non si spiegherebbe come un movimento che alle elezioni vale il 2,6 per cento conti almeno per il 50 nel mondo dell’informazione, della comunicazione e dello spettacolo). Qui all’Hotel Lux, invece, la sensazione prevalente era l’invidia. Da queste parti – nei partiti, movimenti e associazioni della sinistra – la furia iconoclasta degli anni 90 ha prevalso, ha vinto allora la sua battaglia decisiva, e non è rimasto più niente e nessuno da celebrare. Nemmeno una cartolina. La splendida mostra organizzata da Ugo Sposetti per il novantesimo anniversario dalla fondazione del Pci e il ventesimo dal suo scioglimento non era una cerimonia di beatificazione, ma un funerale.
Martedì scorso, al funerale di Vezio Bagazzini, per decenni il barista ufficiale di Botteghe Oscure, c’erano le stesse persone, e lo stesso clima. Reduci senza più nemmeno un’associazione di reduci, senza più nemmeno un bar dove andare a ubriacarsi. La linea di continuità è stata spezzata. E gli orrori del socialismo reale non spiegano perché lo stesso sia accaduto anche alla Dc, al Psi e a tutti i partiti che hanno fatto la storia della Repubblica.
E’ la lingua che fa una comunità, e che la tiene insieme. I discorsi di Renzi, come quelli di tanti altri, colpiscono innanzi tutto per questo, perché testimoniano come sia ormai venuta meno ogni traccia dell’antico lessico famigliare. Ogni unità linguistica e culturale, prima che politica. Si può, come il sindaco di Firenze, stare “con Marchionne senza se e senza ma”; ma anche contro, e con altrettanta veemenza, come il responsabile economico del Pd Stefano Fassina. Si può essere liberisti e socialisti, presidenzialisti e parlamentaristi, giustizialisti e garantisti, clericali e anticlericali.
Eppure, nell’Italia di oggi, il Pd resta l’unico partito degno di questo nome. Tra gli altri, solo la Lega ha ancora un minimo di consistenza propria, indipendentemente dalle sorti del suo leader. Dunque può darsi che abbia ragione il neodirettore del Riformista Emanuele Macaluso, nel dire che “Il Pd non è un partito, ma una coalizione”. Dovrebbe però aggiungere che gli altri partiti non sono nemmeno quello. Gli altri, al massimo, sono dei carrozzoni (o meglio, dei carrozzini, per l’infantile narcisismo dei rispettivi leader-proprietari).
Pier Luigi Bersani, obiettivamente, non sembra preoccuparsi molto di questi problemi, che partono tutti dagli anni 90, dalla crisi della Prima Repubblica e dalla nascita della Seconda; con la notevole, meritoria, ma isolata eccezione del suo rifiuto di mettere il nome nel simbolo elettorale. Come si vede anche dal suo libro (“Per una buona ragione”, Laterza), di quella stagione il segretario del Pd dà anzi un giudizio complessivamente positivo. Bersani, infatti, divide in due il ventennio berlusconiano (che dunque non riconosce come tale): un’età dell’oro cui tornare, gli anni 90 governati perlopiù dal centrosinistra, da un lato; dall’altro, il primo decennio del 2000, dominato da Silvio Berlusconi. Un punto di vista, se lo abbiamo capito bene, che lascia poco persuasi per il passato, e ancor meno tranquilli per il futuro.
Può anche darsi, tuttavia, che Bersani, con la sua imperturbabilità, si riveli il generale Kutuzov della sinistra italiana. Come per il vincitore di Napoleone, anche a Bersani, si è visto, non mancano ufficiali e dignitari di corte che ne contestino l’attendismo, la renitenza agli scontri diretti e l’ostinato rifiuto di dare battaglia in campo aperto. Anche Bersani, come l’anziano generale russo, sembra convinto che solo due cose decidano le sorti di una guerra: “Pazienza e tempo”. Il problema, al momento, è che cominciano a scarseggiare entrambi. (il Foglio, 3 maggio 2011)
le parole di Renzi sono agghiaccianti.
ma perchè io devo stare nel suo stesso partito ? avrei difficoltà a votarlo, figurati a condividerne il partito…eppure è così.
d’altra parte, uscire dal PD vorrebbe dire indebolire Bersani ( che è dei miei) e lasciare strutture e organizzazione in mano a gente che NON DEVE prenderne il controllo.
tutte le sere prego dio che :
a) B. esca dalla vita politica italiana, in un modo o nell’altro, e quindi :
b) tutto il sistema politico italiano, PD incluso, si sfaldi e si riaggreghi su idee un minimo più sensate e collegate al reale.
dopo che questo sarà avvenuto, io NON militerò più nel solito partito di Renzi.
Anche Veltroni era accusato di non voler essere abbastanza determinato.
Per il resto, dare del volgare a Renzi non risolve il fatto che quella della CGIL per il Primo Maggio è una battaglia di retroguardia: non vi era nulla di sostanziale nelle obiezioni (a parte il simbolo e la liturgia), mentre vi è molto di sostanziale negli scadimenti del sindacato.
Trovo molto utile al riguardo questo articolo di Ichino (http://www.pietroichino.it/?p=14396) e in generale molte delle cose che dice.
Sottoscrivo le parole di Renzi.
Le prese di posizione di Camusso e Landini sono sempre le barricate in nome delle solite cose.
I sindacati di oggi dovrebbero occuparsi dei “veri deboli” di oggi, che sono i giovani precari, coloro che perdono il posto a 40 anni e i piccoli liberi professionisti.
Se stiamo ancora alle lotte di classe di classi sociali che si sono trasformate, è ovvio che le questi sindacati saranno sempre meno rappresentativi.