Il solito cambiamento
Mentre sul Corriere della sera si parla di sondaggi secondo cui Matteo Renzi e Giorgio Napolitano sarebbero i soli politici sopra il 50 per cento dei consensi, su Repubblica si susseguono, simili anche nell’impaginazione, proprio le loro due interviste (entrambi erano al Festival del giornale). Renzi parla della necessità del cambiamento praticamente in ogni risposta, ma non spiega quasi mai di quale cambiamento stia parlando. Una delle poche eccezioni è quella in cui rispolvera l’eguaglianza dei punti di partenza e aggiunge che l’egualitarismo a volte ha messo fuori il merito, prendendosela per questo con “una parte del sindacato”, che ovviamente “deve essere cambiata”. Il che, nell’Italia e nel mondo di oggi, mi pare un po’ come piombare a Woodstock urlando contro l’America bigotta e la musica da camera: un po’ strano. E comunque, più andavo avanti nella lettura, più mi sembrava di sentire nelle orecchie il ritornello di quella canzone di Max Gazzè che comincia così: “Ciao, sono quello che hai incontrato alla festa…”.
Eugenio Scalfari, l’intervistatore del presidente, comincia invece citando un’affermazione pronunciata da Napolitano nel ’95, parafrasando Croce: “Perché non possiamo non dirci liberali”. E a me torna in mente Renzi, mi pare di risentire il ritornello di Max Gazzè e mi viene da domandare: e perché no? (ma voi non pensate male, adesso).
Sull’Herald Tribune leggo invece che già da qualche tempo un pasticcere di Manhattan ha dato al mondo l’invenzione, certamente epocale, del “cronut” (mezzo croissant e mezzo doughnut, ciambella). Segue dissertazione su Lewis Carroll e le parole-macedonia, che secondo me a volte rischiano di somigliare a quelle che “significano esattamente quello che voglio”. Insomma, si vede che mentre leggevo, in qualche ripostiglio del cervello, stavo ancora pensando a Renzi, Napolitano e Max Gazzè, fatto sta che proseguendo nello studio dell’appassionante genesi della “cornella” (o se preferite del “ciambetto”) mi imbatto in questa frase: “L’attuale popolarità di combinazioni tipo cronut suggerisce che, tanto nella lingua quanto nella cucina, possiamo digerire la novità nella misura in cui i suoi componenti siano riconoscibili”.