Trump Factor
Polemizzando con Donald Trump (e con quel curioso fenomeno, tipicamente americano, di progressiva, pavida, condiscendente assuefazione della stampa alle sue sparate), Barack Obama ha detto: «Non possiamo permetterci di trattare tutto questo come un reality show». È una frase che mi ha dato da pensare, perché per lungo tempo, almeno dalla «discesa in campo» di Silvio Berlusconi in poi, abbiamo discusso del fatto che la politica italiana si stava americanizzando. Ora, guardando alla campagna di Trump, si direbbe che sia la politica americana a italianizzarsi. Quello che mi preoccupa più di tutto, però, è che le reazioni del mondo progressista americano ricordano parecchio quelle della sinistra italiana di allora.
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Accerchiati dal ridicolo da ogni parte, e giudicando evidentemente impossibile rispondere colpo su colpo, i cinquestelle sembrano avere scelto ormai definitivamente la strategia dell’anziché, che ha tra l’altro il pregio di non richiedere ulteriori aggiornamenti, qualsiasi fesseria dicano o facciano nel frattempo Di Maio, Raggi o Muraro. È una strategia semplice e flessibile, che mi sentirei di consigliare anche a ognuno di voi, nella vostra vita privata. Esempio: tua moglie si mette a urlare dopo averti sorpreso con l’amante? Facile: «Ma come, l’Italia sta praticamente andando in guerra senza un voto del parlamento, il Bilderberg specula sulle scie chimiche per arricchirsi sulla pelle dei nostri figli, e tu, anziché parlare di questo, te la prendi con me per una scappatella? Ma non ti vergogni?».
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Proprio in questi giorni, in un bel libro su Aldo Moro, stavo leggendo di quando Antonio Segni e vari esponenti della destra democristiana facevano pressioni di ogni genere sui diplomatici americani perché non fornissero il minimo appoggio al governo di centrosinistra, guidato dal segretario del loro stesso partito. Che tempi!