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C’è Travaglio al telefono

13/05/2008

Roma. Il bersaglio delle accuse lanciate sabato da Marco Travaglio in diretta tv, Renato Schifani, lo aveva detto subito: “Vogliono minare il dialogo”. E la notizia della telefonata di Silvio Berlusconi a Walter Veltroni sembrerebbe confermare l’ipotesi. Anche perché questa volta, a differenza di tutte le altre, Travaglio è partito, ma il partito non ha seguito. E’ vero che c’è stato un salto di qualità, perché il bersaglio stavolta è la seconda carica dello stato. Ma fa ugualmente un certo effetto sentire l’ormai ex deputato Luciano Violante dire solennemente: “Non condivido quel modo di fare giornalismo, permanente pettegolezzo… e mi domando: cosa c’entrano con la sinistra Santoro e Travaglio?”. Se non lo sa lui, figurarsi noi. Ma è dalle dichiarazioni del capogruppo Anna Finocchiaro che si misura davvero quanta acqua sia passata sotto i ponti del Pd: “Inaccettabile che possano essere lanciate accuse così gravi nei confronti del presidente del Senato, su una rete pubblica, senza contraddittorio”. Lo stesso dice Paolo Gentiloni, nuovo responsabile comunicazione del partito, pure lui colpito dal grave problema del contraddittorio mancante. Tesi curiosa, essendo l’accusa non già avere commesso il tale crimine il tal giorno alla tale ora, ma semplicemente “avere avuto rapporti con”. E come ci si dovrebbe difendere, in un pubblico contraddittorio, da una simile accusa? Antonio Padellaro, direttore dell’Unità, titola il suo editoriale proprio così: “La parola a Schifani”. E apre a tutta pagina con “Caso Schifani, la destra marcia sulla Rai”. Nessuna polemica diretta con il Pd, ma è evidente che la linea editoriale dell’Unità corrisponde, semmai, alla linea politica dell’Italia dei Valori. Antonio Di Pietro esprime infatti piena solidarietà a Travaglio. E si domanda pure se il silenzio dell’opposizione sia dovuto al fatto che “anche tra le file del centrosinistra ci sono alcune posizioni imbarazzanti”. Dalla parte di Travaglio si schiera anche il senatore del Pd Furio Colombo, che da direttore dell’Unità – ai tempi dei girotondi – assunse Travaglio e spalancò il giornale a Paolo Flores d’Arcais, Pancho Pardi, Nando Dalla Chiesa. Una decisione che fu però, a sua volta, l’ultimo anello di un’altra, lunga catena.
L’inizio di tutto si può datare forse al 14 marzo 2001, in piena campagna elettorale, a due mesi da un’altra straripante vittoria berlusconiana. La scena è sempre la stessa: un giornalista – allora, però, praticamente sconosciuto – seduto su una poltroncina dinanzi alla scrivania del conduttore, ospite di un programma Rai a metà tra l’informazione e l’intrattenimento, presenta un libro che contiene pesanti accuse su presunti rapporti con la mafia di un esponente di Forza Italia. E comincia così una folgorante carriera da personaggio pubblico. Il suo nome, va da sé, è Marco Travaglio. Il programma si chiama Satyricon invece di “Che tempo che fa”; l’anfitrione Daniele Luttazzi invece di Fabio Fazio; il bersaglio delle accuse Marcello Dell’Utri invece di Renato Schifani. Per tutto il resto, la scena è perfettamente identica a quella andata in onda sabato. Di lì, nel 2001, sarebbero venuti il celebre “editto bulgaro”, i girotondi e tutto quello che ne è seguito. E di qui?
Difficile dire. Certo è che i protagonisti sono gli stessi. Ma la parabola della carriera travagliana non spiega tutto. Forse, per capire, bisogna risalire molto più indietro, fino al clamoroso videomessaggio dell’intero pool di Mani Pulite contro il decreto Biondi, subito ribattezzato dall’opposizione “salva-ladri”, promosso dal primo governo Berlusconi a breve distanza dal suo insediamento, tra la primavera e l’estate del 1994. Allora, il centrosinistra seguì. La mobilitazione lanciata dai magistrati divenne mobilitazione dei partiti, che nulla trovarono da ridire sull’inusuale “pronunciamento” televisivo di Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Francesco Greco e Gherardo Colombo. Ma quegli stessi partiti, una volta consegnato ai pm il potere di evocare la mobilitazione delle (loro) piazze, avrebbero presto scoperto quanto difficile sia revocarlo indietro. Lo avrebbe scoperto Massimo D’Alema, per esempio, il 22 febbraio 1998, quando Gherardo Colombo avrebbe parlato al Corriere della Sera di “Bicamerale figlia del ricatto”. Un’accusa destinata a tornare ciclicamente – quella del patto inconfessabile con Berlusconi – dal ’98 al 2008, dal grido di Nanni Moretti (da cui sarebbero nati i girotondi) alle telefonate della scalata Unipol (considerate la prova di una “bicamerale degli affari”), fornendo materiale per libri, inchieste, libri-inchiesta, cabaret, musica. Una miniera su cui si sono costruite carriere, movimenti e partiti. Ma anche forche caudine, sotto le quali sono dovuti passare tutti i principali segretari di partito del centrosinistra di questi anni: Massimo D’Alema, Piero Fassino, Francesco Rutelli. E ora, forse, Walter Veltroni. E forse no. (il Foglio, 13 maggio 2008)

6 commenti leave one →
  1. 13/05/2008 11:04

    Un piccolo dettaglio – Dell’Utri poi condannato a nove anni per associazione mafiosa – potevi aggiungercelo. Magari dicendo che è solo il primo grado, che è sicuramente un complotto, che i magistrati andrebbero internati; ma potevi aggiungercelo.

  2. 13/05/2008 14:09

    il forse no mi convince particolarmente. Anzi, più il no del forse a pensarci bene.. Un giorno mi spiegherai anche perchè?

  3. Roberto permalink
    13/05/2008 14:52

    Anche a me ha colpito che, di tutto, ci sia concentrati sull’assenza di contraddittorio. Mi è parso lunare. Forse ci si potrebbe leggere l’inedito D’Avanzo odierno per capire che di acqua sotto i ponti ne è passata davvero molta e che, comunque, il problema non è il contraddittorio ma il modo di fare giornalismo, sempre ammesso che quello di Travaglio possa essere definito tale.

  4. francesco cundari permalink
    13/05/2008 15:44

    Per miic: capisco che qualsiasi cosa io dica la tua risposta – che magari, per cortesia, darai solo dentro di te, fa lo stesso – sarà: se se, raccontacene n’antra… ma il fatto è che (1) secondo me non andava aggiunto e mi sarei molto seccato se qualcuno me lo avesse aggiunto passando il pezzo. Anche, e sottolineo *anche*, perché (2) non scrivo su un grande giornale straniero, che debba spiegare ogni volta ai suoi lettori chi è dell’utri, chi è berlusconi, eccetera, come non spiego mai praticamente nulla, altrimenti il foglio sarebbe un giornale a 50 pagine, comprensibile, pieno di notizie di cronaca e con la pagina dei programmi tv (lo so, potevo cavarmela con il punto 2 e probabilmente l’avrei passata liscia, invece di passare per un venduto, pazienza). Quanto al fatto che tu mi conceda che dopo aver detto “condannato in primo grado” avrei potuto pure aggiungere che i magistrati andrebbero internati e simili fregnacce da propagandista berlusconiano, che ti devo dire? ti ringrazio per la stima, pienamente ricambiata, ma resto della mia opinione: no, non andava aggiunto, perché non ce n’era nessun bisogno, se non il bisogno dell’estensore di mettere le mani avanti con poco sforzo – a scanso di equivoci: se lo avessi aggiunto, sono più che certo che nessuno me lo avrebbe tolto, né mi avrebbe detto nulla – bisogno che però, personalmente, non ho avvertito, e continuo a non avvertire

  5. Wallygator permalink
    13/05/2008 18:17

    Lo strano e’. che nessuno ricordi di dire che il simbolo dell’ Italia dei Valori (sic.) e’ una scatola da scarpe….

  6. 14/05/2008 00:48

    Non capisco cosa c’entri l’accenno all’eventualità che qualcuno modifichi il tuo pezzo, ci mancherebbe altro. E non mi pare di averti dato del venduto, né esplicitamente né implicitamente. Quella sui magistrati internati era una provocazione particolarmente rozza e sgradevole, e me ne scuso. Ma intendevo solo dire che Travaglio, quella volta da Luttazzi, era andato a dire cose che attualmente corrispondono alla verità processuale, salvo smentite nei gradi successivi. Per me qualcosa conta. Sicuramente il tuo giornale ha ampiamente e convincentemente dimostrato l’assurdità di quella sentenza: colpa mia che non seguo il Foglio con sufficiente attenzione. Quanto alla stima, che dire, la mia nei tuoi confronti è molto alta: come dico più avanti, mi hai appena svelato un’illuminante interpretazione della storia universale. Se tu ricambi solo ironicamente, mi addolora, ma me ne farò una ragione. Le altre che hai da raccontare, io sto qui ad ascoltarle.

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