L’essenziale
Poi, ci si prova. Si rimodula. Ci si sforza, nel preparare le lezioni, di scovare nuove vie, nuove sinestesie, nuove sensazioni che possano – letteralmente – rendere l’idea. Per farlo, devi cercare di pensare di essere cieco. Devi immaginarti di non vedere. Di più: di non avere mai visto. Naturalmente, è tutto un colossale sforzo di fantasia, giacché, com’è ovvio, non posso far altro di – perlappunto – immaginarmi di essere cieco. Non posso far altro che vedere il mio ipotetico non vedere. Credetemi: per insegnare la filosofia non ho mai pensato tanto come quest’anno.
Eppure, viene da pensare a me, un simile esercizio – che abbia a che fare con l’esperienza del vedere o con qualsiasi altra esperienza o convenzione o condizione umana, sociale, culturale, politica – non è forse l’essenza stessa del suo lavoro? Del lavoro di un filosofo, intendo – e forse, prima ancora, di un insegnante di filosofia? Non fatico a credere che il professor Beccaria non abbia mai pensato tanto. Ma credo pure che i suoi studenti, vedenti e non vedenti, non trarranno mai tanto profitto dalle sue lezioni come quest’anno.
Quello che dici è verissimo. Il fatto è che, anche se animati dalle migliori intenzioni, noi umani tendiamo spesso a trasformare la nostra vita in comodo tran tran. Finché la realtà ci sorpassa inaspettatamente e ci rimette in ballo. La qual cosa è, secondo la mia modesta opinione, il bello dell’essere vivi.
Complimenti per la tua professione.