Fini agita le preferenze ma il vero obiettivo è Tremonti
Roma. Da tempo analisi e retroscena avevano imparato a farne a meno. Prima la brusca incorporazione di An nel Popolo della libertà; poi il successo di pubblico e di critica arriso al conquistatore di Roma, e suo antico rivale, Gianni Alemanno; infine la scelta di un ruolo istituzionale come quello di presidente della Camera. La posizione di Gianfranco Fini sembrava ormai talmente defilata da rasentare l’uscita di scena. Ma ecco che all’improvviso il leader di An torna al centro della scena. I giornali di ieri descrivono un Silvio Berlusconi furioso, deciso a fermare “l’asse Fini-Veltroni” sulla riforma della legge elettorale per le europee. Alla fine della prossima settimana il presidente della Camera sarà a discutere di federalismo con Massimo D’Alema, in un convegno congiunto delle rispettive fondazioni (Fare Futuro e Italianieuropei). E dentro la maggioranza, con compiacimento o con astio a seconda dell’interlocutore, si parla già di un asse Fini-Napolitano. Di colpo il leader di An sembra ritrovarsi al centro di tutte le partite: dalla riforma della scuola a quella della legge elettorale per le europee, dalla Rai al federalismo, passando per i rapporti con l’opposizione e con il capo dello stato. Ma innanzi tutto, va da sé, con Silvio Berlusconi, con il quale il presidente della Camera pranzerà giusto oggi a Montecitorio. Dopo le dichiarazioni attribuite al premier dai giornali di ieri, il chiarimento non era più rinviabile. “Vogliono tendermi il trappolone? Vedremo se ne avranno il coraggio”, avrebbe detto Berlusconi, alludendo all’emendamento di alcuni parlamentari di An contro l’abolizione delle preferenze alle europee, ma soprattutto alla pronta concessione del voto segreto da parte di Fini.
Pier Ferdinando Casini non tarda a mettere il dito nella piaga. “Si moltiplicano gli ordini del giorno di vari consigli regionali a tutela delle preferenze alle elezioni europee – dichiara – e molti tra i firmatari sono esponenti del Pdl”. E va detto tra i primi ad approvare un simile ordine del giorno è stato proprio il consiglio comunale di Roma. Ma anche Carlo Giovanardi (ex Udc) annuncia che in Aula, sulle preferenze, voterà in dissenso dal suo gruppo.
E così Fini si è deciso a chiedere un incontro con il premier. Una richiesta che Berlusconi ha definito con i suoi collaboratori “irrituale”, senza nascondere l’irritazione. Ma come Berlusconi ben sa, la questione delle preferenze, per quanto delicata, è più che altro uno strumento di pressione. Strumento indubbiamente acuminato, tanto più dopo l’intervento del capo dello stato, con il quale Fini si è intrattenuto ieri per un quarto d’ora, a margine di un convegno. Eppure non è senza ragione che nella conferenza stampa in cui ieri ha annunciato il referendum contro la riforma della scuola, Walter Veltroni ha parlato di divisioni all’interno della maggioranza. E probabilmente non è un caso nemmeno che nel difendere la riforma il dirigente del Pdl forse più vicino a Fini in questo momento, Italo Bocchino, parli solo di “maestro unico, grembiule e voto in condotta”. E cioè degli unici punti realmente condivisi – anche in An – che però poco hanno a che vedere con il referendum annunciato dal Pd e con le proteste degli studenti (compresi quelli di destra), che riguardano invece, soprattutto, i tagli. Il vero obiettivo di An non è insomma il ministro Gelmini, ma il ministro Tremonti, proprio come ai vecchi tempi (nella legislatura 2001-2006, le dimissioni di Giulio Tremonti furono anche la conseguenza dello scontro con Fini).
Al pranzo di oggi, il presidente della Camera chiederà dunque a Berlusconi un gesto di apertura sulla scuola. Difficilmente, però, potrà essere accontentato. L’esito più probabile è dunque che il premier dia corso alle sue recenti minacce: non cambiare affatto la legge elettorale delle europee. Il che significa mantenimento della preferenza, ma anche nessuna soglia di sbarramento. Un’ottima notizia per tutti i principali concorrenti di An (a cominciare dalla Destra), ma soprattutto per quelli di Veltroni, che rischia di vedersi rispuntare attorno tutti gli ex alleati della sinistra radicale. (il Foglio, 30 ottobre 2008)
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