Rappresentanti
Da anni, sui giornali di area “progressista”, non si discute d’altro che della presunta inadeguatezza dei partiti della sinistra e dei loro dirigenti. La maggior parte dei commentatori – e intendo non solo gli editorialisti, ma anche i registi, cantanti e cabarettisti abitualmente intervistati sui destini del paese e della sinistra, in qualità di “coscienze critiche” dell’uno o dell’altra – sembra capace di esercitarsi su un unico tema: quanto poco quegli stessi commentatori si sentano rappresentati da partiti e dirigenti della sinistra. Dirigenti, si dice, che sono sempre gli stessi, che non cambiano mai. Eppure, nel corso di questi quindici anni, mi pare che quei dirigenti siano cambiati, o quanto meno si siano alternati alla guida dei rispettivi partiti, molto più di quanto nel frattempo siano cambiati i commentatori (e i commenti). Ma soprattutto, mi domando se sia davvero così trasparente e indiscutibile l’interesse generale di un simile tema, che ha di fatto monopolizzato il dibattito pubblico a sinistra: quanto quegli osservatori si sentano rappresentati dall’oggetto delle loro osservazioni, da quei partiti e dirigenti da loro giudicati sempre più autoreferenziali e lontani dai sentimenti e dai bisogni del loro popolo, il famoso “popolo della sinistra”.
Ecco, grosso modo, qual è stato il corso dei miei pensieri questa mattina, scorrendo gli editoriali sulla prima pagina di Repubblica, che recano oggi le seguenti firme: Gad Lerner, Michele Serra, Umberto Veronesi, Carlo d’Inghilterra.
Per farla breve, la mia impressione è che all’Italia, più che un Barack Obama, manchi una Coline Serreau.