Take the money and run
Spesso mi domando per quale incomprensibile forma di snobismo in Italia ci si prenda ancora il disturbo di leggere gli articoli dell’Economist, quando basta aspettare un paio di giorni per trovarseli perfettamente tradotti in italiano e ancor meglio riassunti negli editoriali di tutti i maggiori quotidiani del paese, in una forma peraltro ben più chiara e comprensibile dell’originale. Il principale editoriale dell’ultimo numero, dedicato ai “nuovi pericoli per l’economia mondiale”, fa però eccezione, e stavolta credo che nemmeno Francesco Giavazzi potrà fare di meglio per recapitare il messaggio. Questo il sottotitolo: “When the crisis started, governments helped save the world economy. Now they are the problem” (parafrasi di un antico motto della City di Londra che potremmo tradurre così: “Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, scurdammoce o’ passato, simmo ‘e Napule, paisà”).
Pierluigi Battista dichiara al Riformista che la questione dei finanziamenti dello stato ai giornali è problema serio, perché va bene il pluralismo, ma qui si corre un rischio molto grosso. Di mezzo c’è niente meno che “una ragione di coerenza”. Questa: “Tutti i quotidiani, grandi o piccoli, non potranno più criticare l’economia assistita, il salvataggio delle fabbriche Fiat con il denaro dei cittadini, il finanziamento pubblico dei partiti”. Il bello è che Battista sta al Corriere della sera, giornale che dallo stato riceve aiuti – sotto forma di contributi più o meno indiretti, in molteplici forme – per svariati milioni (non ho qui le tabelline e adesso non mi va di cercarle, ma si rimediano facilmente). Non mi pare che fino a oggi questo abbia impedito al giornale di martellare contro l’economia assistita e il finanziamento pubblico ai partiti. Sui salvataggi delle fabbriche Fiat, per essere onesti, dipende: quando è la Fiat a volersene disfare, la critica dei salvataggi non manca.
Intervistato dal Corriere della sera, Walter Veltroni spiega che ha deciso di organizzare una corrente per lottare contro le correnti e che in Umbria “bisognava fare le primarie sin dall’inizio, con un candidato non espressione di correnti com’era Agostini” (il corsivo è mio, mentre Agostini ovviamente era il candidato dei veltroniani, che poi però si è ritirato dalla corsa perché è chiaro che se alle primarie si candidano pure gli altri, cioè quelli espressione di correnti, allora non vale). Imperdibile il passaggio dell’intervista sui “comitati unitari” cui Veltroni lavorava nelle scuole da ragazzo, nel 1974, quando “andavano di moda gli estremismi”. Comitati che erano addirittura “la prefigurazione di quel che un giorno sarebbe stato il punto di approdo: il Pd”. Resta da capire, considerato il fatto che l’organizzazione di “comitati unitari” nelle fabbriche, nelle scuole e in ogni altro luogo di lavoro e associazione ha rappresentato la principale attività dei comunisti italiani dalla fondazione del partito al suo scioglimento, per quale ragione l’origine di questa profetica prefigurazione debba essere posta proprio nel ’74 (e a Nairobi lo aspettano ancora).
Date, numeri, percentuali… Walter è oltre la matematica.
Comunque era Maputo.
L’Economist è sempre una buona lettura per capire come non andranno a finire le cose.
http://stagliano.blogautore.repubblica.it/2010/02/22/se-leconomist-dice-cose-turche/
Si, lo so, è un blog di Repubblica. Ma è troppo ghiotta.