Elogio di Follini
23/04/2010
Non è la prima volta che Silvio Berlusconi dichiara che un suo avversario interno “farà la fine di Follini”, come ha fatto in questi giorni a proposito di Gianfranco Fini. Non è la prima volta e certo non sarà l’ultima: sia perché la costante e mai soddisfatta pulsione all’accentramento del potere è destinata a generare sempre nuove spinte centrifughe, sia perché il nome di Follini, come simbolo di tutto ciò che di più detestabile può concepire l’immaginario berlusconiano (il dissenso e l’insuccesso), non troverà mai un’incarnazione più vivida ed efficace che lo possa scalzare, un’immagine maggiormente rappresentativa di tutte le più radicate idiosincrasie di quel mondo e del suo capo.
Se tutti coloro che della rivolta morale al berlusconismo hanno fatto un mestiere fossero effettivamente guidati da considerazioni di principio, insomma, non c’è dubbio che Marco Follini dovrebbe essere il loro idolo. E infatti non lo è. Di sicuro, comunque, non lo diventerà grazie al suo nuovo libro: “Elogio della pazienza – Perché la lentezza fa bene alla democrazia” (Mondadori). Un libro che ha tutti i pregi e tutti i difetti del suo autore, questo singolare Bartleby del bipolarismo italiano, antitesi vivente allo spirito del berlusconismo oggi dominante, a destra e a sinistra.
Follini è infatti uno dei pochissimi attori del nostro dibattito pubblico che possa essere seriamente definito un anticonformista. Dal che si potrebbero trarre pessimistiche considerazioni sullo stato di un paese in cui l’anticonformismo sia rappresentato da un così garbato democristiano, che da giovane doveva essere senz’altro uno di quei ragazzi con cui i genitori pregano sempre i propri figli di giocare, e per lo più inutilmente, perché i bravi ragazzi sono generalmente noiosi. Ma a forza di ascoltare ogni dirigente del Pd, in ogni occasione, attaccare la solfa della velocità dei tempi e della rapidità dei cambiamenti, e la politica che non ce la fa, e il mondo che corre, e le morte stagioni, e via sproloquiando come un cattivo venditore di computer, ebbene sì, verrebbe proprio voglia di invitarli tutti a giocare più spesso con il loro compagno Follini, o perlomeno a sottrarsi alla contemplazione dell’impetuoso fluire del cambiamento il tempo necessario a leggere il suo libro.
“La politica è lenta”, scrive Follini. E questa è l’affermazione più trasgressiva che si possa pronunciare, in tempi segnati dalla “politica del fare” proclamata da Berlusconi e dalla “democrazia decidente” perseguita da tanti dirigenti del Pd, e rilanciata da Giorgio Tonini sul Foglio di ieri. La politica è un’altra cosa, sostiene invece Follini. “Il suo ritmo è quello di milioni di persone che si muovono assieme, più che quello di corridori solitari che inseguono il primato”. Un’immagine che i dirigenti del Pd farebbero bene a meditare. E forse, dopo, capirebbero meglio il perché di certe curiose assonanze tra le loro stesse parole e le ultime dichiarazioni di Berlusconi, a proposito del bipolarismo che non si tocca – guai a tornare indietro! – e delle vituperate correnti, giudicate anch’esse un inaccettabile ritorno al passato, alla vecchia politica, alla Prima Repubblica. Il corollario alla teoria della velocità è questo: tutto ciò che accade è buono, perché l’importante è muoversi; ogni discussione è invece cattiva, perché significa perdita di tempo. Cattivissimo, dunque, qualsiasi contrappeso al potere del leader che per stare al passo coi tempi, che sono tanto veloci, deve per forza decidere e agire ancor più velocemente, senza inutili impacci, quali sono appunto le correnti, i partiti, il Parlamento.
Anche la progressiva “radicalizzazione delle estreme” cui stiamo assistendo – altro esempio di come il bipolarismo abbia prodotto effetti opposti a quelli profetizzati – costituisce in fondo il terreno ideale per il premier. Ma se prima “si stava meglio”, spiega Follini, non è tanto per il perduto fair play tra democristiani e comunisti. Quella è solo una parte della storia. “L’altra parte – scrive – la più importante e la meno facile, era la pedagogia che quella classe dirigente esercitava rispetto alla propria stessa base”. Oggi però che persino la base è stata progressivamente smantellata a vantaggio di partiti leggeri, veloci, incentrati sul leader e orientati sul sistema dei media, e di conseguenza molto più facilmente orientabili da questo, forse il primo compito del Partito democratico dovrebbe essere un’azione pedagogica rivolta innanzi tutto ai suoi giornali, ai suoi intellettuali, al suo stesso personale politico. La lettura del libro di Follini potrebbe essere già un buon inizio. (il Foglio, 23 aprile 2010)
4 commenti
leave one →
Veramente la base non e’ stata smantellata. Quella che manca semplicemente ha preso e se n’e’ andata.
Per oltre un anno – il primo, non so se mi spiego – il Pd non ha voluto fare nemmeno le tessere, hanno tenuto le sezioni chiuse persino in campagna elettorale… ci sarebbe tutta una storia da fare, sul primo anno del Pd, ma sinceramente non ho la forza né lo stomaco per farla (mi auguro che qualcuno prima o poi si assuma questo ingrato compito, però)
molto bello (e io Follini l’ho sempre apprezzato, a prescindere dal trovarsi d’accordo con lui o meno)
Cundari, pensa che in certe zone d’Italia le sedi del Pd sono ancora chiuse..solo le segreterie dei candidati sono rimaste aperte in periodo elettorale per poi essere quasi tutte di nuovo chiuse.