Il Comitato per l’imposizione della Virtù
27/05/2010
Al direttore – Com’era facile prevedere, il dibattito sulle intercettazioni sta rapidamente degenerando. Negli ultimi giorni, personalmente, mi sono trovato al centro di una campagnuccia denigratoria, partita da Internet e approdata ieri nientemeno che sul Corriere della Sera, semplicemente per aver scritto sul sito leftwing.it quello che a febbraio avevo scritto anche sul Foglio, e cioè che a mio giudizio la cattiveria e il cinismo non sono un motivo sufficiente per intercettare e pubblicare le private telefonate di due cittadini, come nel caso dei due imprenditori dell’Aquila che “ridevano del terremoto”. Di qui è partito il giornalista dell’Espresso Alessandro Gilioli, che sul suo blog ha tendenziosamente riassunto il senso dell’articolo, per additarmi alla collera popolare (con tanto di foto) sotto il titolo: “Wow: ai dalemiani piace il bavaglio”. Questo perché ho scritto che “Dal punto di vista etico e civile, la campagna in difesa delle intercettazioni e contro la cosiddetta legge-bavaglio si sta rivelando, soprattutto per gli argomenti adoperati da politici e giornalisti, persino più dannosa di qualsiasi soluzione sarà infine adottata”. Mi sembra proprio che quanto sta accadendo confermi pienamente la mia previsione.
Sostiene infatti Gian Antonio Stella sul Corriere di ieri, seguendo la falsariga del giornalista dell’Espresso, che il mio articolo è la prova che i “dalemiani” sono a favore della legge-bavaglio e di “una certa dose di censura”. Ovviamente di quello che scrivo rispondo io e non D’Alema, ma è chiaro che chi non è d’accordo con Stella non può che essere un servo di D’Alema. Pazienza. Vorrei invece portare l’attenzione sull’argomento usato da Stella nel merito della questione. “Siamo qui davanti a un caso da manuale – scrive – di come l’interesse dell’opinione pubblica debba venire prima dell’interesse alla privacy del singolo. Esattamente come nel caso, per fare un solo esempio, di Larry Craig, il senatore americano ultrapuritano che attaccava i gay chiamandoli culattoni e fu beccato a fare il piedino in un cesso a un poliziotto. E’ un reato essere gay? Ci mancherebbe! Ha diritto un gay a non essere sbattuto in prima pagina? Ovvio: sacrosanto! Ma lì, in quella occasione, veniva prima il diritto degli americani di sapere che quel politico era un ipocrita e li aveva presi per i fondelli”. Ora, a parte la non sottile distinzione tra un fatto accaduto in un luogo pubblico e una privata telefonata che venga intercettata e pubblicata, distinzione che pare sfuggire al giornalista del Corriere, quello che più colpisce è il seguito del discorso. Secondo Stella, infatti, i cittadini italiani “avevano il diritto di sapere se le persone coinvolte nell’affare dalla Protezione civile erano persone serie o no, coscienti o no, rispettose del bene pubblico o no”. Proprio così: non colpevoli di questo o quel reato, bensì serie, coscienti e rispettose del bene pubblico. Era dunque giusto intercettare e pubblicare le loro telefonate per far sapere a tutti se erano o no, per farla breve, delle brave persone. E poi quando uno scrive che nel nostro dibattito pubblico si sta affermando una concezione da teocrazia islamica dicono che esagera.
Domanda: c’è o no un problema in tutto questo, comunque la si pensi sulla “legge-bavaglio”, cui peraltro io resto contrario? I tanti autorevoli giornalisti, giuristi e costituzionalisti impegnati in questa come in tante altre “battaglie di civiltà” non hanno nulla da dire? E’ questo quel paese civile, quello stato di diritto che si vorrebbe ricostruire in Italia e per cui tanti si battono? Un paese in cui l'”opinione pubblica” abbia il diritto di leggere sui giornali le private telefonate di qualunque cittadino al preciso scopo di valutarne la conformità all’etica pubblica?
Giunti a questo punto, però, bisognerebbe domandarsi anche chi avrebbe titolo per stabilire i confini di quest’etica pubblica, quale “Comitato per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio”, come si chiama in Arabia Saudita – ho appreso da un amico – l’organo da cui dipende la polizia religiosa. C’è un solo direttore di giornale, un intellettuale, un giurista, un politico di sinistra (che non sia dalemiano, per carità!) che abbia qualcosa da dire al riguardo? (il Foglio, 27 maggio 2010)
C’è: Piero Sansonetti
anche un altro: un grandissimo stefano ceccanti
grazie per la segnalazione. citare Sansonetti come esempio positivo mi inquietava un po’ :-)
“la cattiveria e il cinismo non sono un motivo sufficiente per intercettare e pubblicare le private telefonate di due cittadini”
Come accade spesso in questo dibattito, si confonde la legittimità delle intercettazioni e quella della loro pubblicazione, due questioni che non dovrebbero essere messe sullo stesso piano. Per la prima chiaramente “l’imposizione della virtù” non è una base sufficiente: ma infatti le intercettazioni, compresa quella degli impreditori dell’Aquila, non avvengono su questa base, bensì nel contesto di indagini, in un quadro giuridico ben preciso e regolato. Sul tema della pubblicazione vigono invece regole completamente diverse: si tratta del classico caso nel quale bisogna bilanciare libertà di informazione e protezione della vita privata, e gli argomenti di Stella sul “diritto di sapere” dei cittadini si inseriscono perfettamente in una lunga tradizione culturale e giuridica per la quale certi comportamenti (anche non penalmente rilevanti) possono essere resi pubblici dai giornali quando esiste un interesse pubblico abbastanza importante da giustificare la violazione.
Quindi: la cattiveria e il cinismo non sono motivi sufficienti per intercettare: è vero, ma nessuno è mai stato intercettato per questo motivo (anche perché è difficile sapere che uno fa affermazioni cattive e ciniche prima di averlo intercettato).
La cattiveria e il cinismo non sono motivi sufficienti per pubblicare le intercettazioni? Dipende. Se si tratta di politici o di persone che ricoprono un ruolo pubblico ecc., e che pertanto c’è un interesse pubblico sufficiente, allora sì, sono motivi sufficienti.
Visti gli argomenti usati da Stella, mi sento di dire che a questo punto l’”opinione pubblica” abbia anche il diritto di leggere ogni giorno sui giornali le private telefonate dei tanti autorevoli giornalisti, giuristi e costituzionalisti, fra cui appunto Stella, impegnati in questa come in tante altre “battaglie di civiltà” al preciso scopo di valutarne la conformità all’etica pubblica, in quanto viene prima il diritto degli italiani di sapere se quel giornalista è un ipocrita e ci ha preso per i fondelli. O sbaglio?
@ Cristiano Rastelli: …. sopratutto se si busca i milioni dei contribuenti.