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Giovani turchi e vecchi democristiani

16/09/2010
Nessun partito può reggersi solo sulla propaganda, sulla mistica del capo e sugli appelli all’unità. Non può farlo il Pdl, come si vede, figuriamoci il Partito democratico. E non solo perché si chiama “democratico”, ma innanzi tutto perché si chiama “partito”.
E’ un bene, pertanto, che nel Pd emerga un’esplicita dialettica interna, sia pure ancora un po’ confusa, tra giovani turchi, vecchi democristiani e sultani di mezza età. Nel partito si stanno finalmente delineando una destra e una sinistra interna, e già solo chiamarle così renderebbe tutto più chiaro. Da una parte, infatti, sta il documento di quelli che Repubblica ha battezzato “giovani turchi” antiveltroniani, o “quarantenni dalemiani”, che di dalemiani ne raccoglierà sì e no un paio, almeno a giudicare dai nomi circolati sin qui, e che nella sostanza è tanto “antiveltroniano” quanto è “antidalemiano”, vista l’interpretazione che dà della recente storia della sinistra. In realtà, il documento chiede di ridiscutere parole d’ordine e modi di pensare radicati in tutto il gruppo dirigente, riducibili a tre punti: liberismo in economia, maggioritario e “presidenzialismo di fatto” in campo istituzionale, leaderismo nella concezione del partito. Dalla parte opposta sta il documento su cui Walter Veltroni sta raccogliendo le firme, incentrato sul ritorno allo “spirito originario” del Pd, dunque a quel discorso del Lingotto tanto criticato dalla nuova area antiliberista. 
A Pier Luigi Bersani sta ora il compito, fin qui non troppo brillantemente assolto, di segnare su questo una reale discontinuità rispetto a Veltroni, che non mancava mai di dare la colpa di ogni insuccesso alle macchinazioni interne, ai dirigenti infedeli e alle infami correnti, con Repubblica e Corriere della Sera a svolgere nei confronti dei dalemiani la stessa funzione svolta oggi da Giornale e Libero nei confronti dei finiani, sia pure con altro stile (si fa per dire). Ma se persino Silvio Berlusconi deve acconciarsi al dibattito interno, come potrebbe il Pd, mentre applaude Gianfranco Fini e denuncia i metodi stalinisti del premier, continuare a fare in casa propria quel che critica in casa d’altri? Ormai lo hanno capito anche i sassi: il mito del partito senza correnti produce solo l’incubo di correnti senza partito. Un processo di scomposizione che non finisce nemmeno con lo sdoppiamento del gruppo parlamentare (estremo cui mai erano arrivati Dc e Psi), ma con i parlamentari-partito febbrilmente consultati da Francesco Nucara. E tutto questo in difesa della volontà degli elettori e del bipartitismo, frutti di quella “nuova stagione” aperta dall’asse Berlusconi-Veltroni per la riforma “americana” della politica, finita come tutti vedono: con Berlusconi appeso a Nucara e Veltroni appresso a Beppe Fioroni. Auguri.
Bersani, adesso, dovrà pensare a far crescere il suo partito, che vuol dire anche maturare, acquisire cioè la capacità di confrontarsi senza piagnucolare e senza gridare che così non vale, se non si fa come dico io allora me ne vado e mi porto via pure il pallone. Le prime reazioni al documento della nuova sinistra democratica, da questo punto di vista, non sono incoraggianti: “lungo”, “noioso”, addirittura “reazionario”. Quel documento, però, dice una cosa chiara, e cioè che dinanzi alle ultime scelte della Fiat, come a Pomigliano, il Pd deve dire con forza che non accetta un simile modello, una simile idea dei diritti dei lavoratori e dei diritti costituzionali. Ma fanno altrettanto bene Walter Veltroni e Sergio Chiamparino a dire il contrario, e cioè che bisogna raccogliere la sfida di Sergio Marchionne, che il problema è la produttività, l’assenteismo, il sindacato. Fanno bene gli uni e gli altri, perché quel che serve ora è la discussione. A Bersani sta il compito di definire una linea, senza espulsioni o processi per i dissidenti. Agli altri far sì che questa linea sia frutto di una discussione seria, che parli di cose come queste, che tutti capiscono benissimo. (il Foglio, 16 settembre 2010)
4 commenti leave one →
  1. Massimo permalink
    16/09/2010 08:59

    Ottimo. Ma basta con il termine “giovani turchi”, chiunque abbia deciso di utilizzare questa appellativo. Che ormai evoca più che altro il genocidio degli armeni.

  2. 18/09/2010 15:53

    io invece devo dire che, a parte lo stile letterario cervellotico/nevrotico (in questo più simile alla nuova sinistra anni 70 che alla lingua di gramsci), il documento dice cose più che condivisibili, e le reazioni tra lo scandalo e l’irrisione testimoniano solo l’ennesima volontà di non affrontare mai i contenuti fondamentali della sinistra.
    mi pare meglio entrare in quei meriti e finalmente scioglierli invece di appassionarsi sui derby chiamati primarie, sui leaders televisivi, sui loghi di partito e i nomi delle feste.
    mi pare il caso di decidere finalmente cosa una sinistra europea contemporanea deve proporre per sviluppare e regolare i mercati (se lo deve fare), come deve redistribuire le ricchezze prodotte e i poteri istituzionali (se lo deve fare), come deve ripensare l’università, la scuola e la ricerca e con quali soldi finanziarle (se lo deve fare), e potremmo continuare all’infinito. certo stiamo parlando di identità, ma perché sopportare ancora commentatori che esaltano le identità forti del berlusconismo e del leghismo e la loro riconoscibilità popolare e che irridono e stigmatizzano la sinistra quando, con le necessarie differenze, scende su quei campi?
    io sinceramente sarei un pò stufo di quei dirigenti che strizzano un occhio a marchionne e l’altro a niki vendola, un pò di strabismo sarà pure affascinante ma questa è schizofrenia paracula!

    certo: lo stile letterario rivela sempre qualcosa e il documento dei cosiddetti giovani turchi, per come è scritto, rivela forse l’unico limite di quella impostazione culturale: la poca importanza data al problema dell’allargamento del consenso. sicuramente una reazione agli atteggiamenti da “divi di hollywood” o alle strizzatino d’occhio di cui sopra, ma comunque una reazione poco politica. se si hanno i contenuti non si deve temere la ricerca di una forma attraverso la quale siano più intellegibili e perfino più appetibili, altrimenti dante avrebbe detto: “un mucchio di gente di firenze mi sta sul cazzo, e celestino quinto di più” e l’avrebbe chiusa lì.

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