Le domande difficili
Le domande difficili sono quelle che è sempre meglio formulare per primi, affinché poi non tocchino a noi le risposte. Quando però a formularle è uno che non solo è riuscito a scovare da qualche parte una copia ancora in commercio del tuo unico libro (e chiunque abbia macchiato come me la propria fedina editoriale di un simile misfatto sa che cosa si prova), ma arriva persino ad accostarlo alle parole “West Wing”, è chiaro che a questo punto non puoi tirarti indietro. In verità, da tempo meditavo di coprirlo di insulti per le sue posizioni sulla vicenda Fiat, ma mi pare altrettanto chiaro che dovrò rimandare la discussione (non si illuda, arriverà anche il suo momento, e prima di quanto immagina). Dunque, dicevo, le domande difficili. Se non capisco male, Squonk si domanda se sia possibile ricostruire un partito che abbia la stessa portata storica (l’espressione è mia, ma si fa per capirsi) del vecchio Pci. E sembra individuarne il segreto in due elementi: “l’organizzazione” e (soprattutto) “l’idea”. Ebbene, non so se quando parla di “idea” o di “ragione forte”, sotto sotto, non stia cercando una perifrasi per il concetto di ideologia, espressione che credo sia destinata a una certa riscoperta, sebbene sia piuttosto equivoca. Personalmente, ho sempre diffidato di chi ne proponeva la riabilitazione in nome del bel tempo che fu. Oltre tutto, per lo stesso Marx, com’è noto, l’ideologia era la falsa coscienza della realtà, e non a caso anche Togliatti, quando si riferiva al marxismo, preferiva generalmente l’espressione “la nostra dottrina”. Insomma, tutto questo per dire che rispetto al tema “La morte delle ideologie” (tema che considero di poco più interessante del buon vecchio “Il lavoro del mio papà”) la mia personale posizione è la seguente: riposino in pace. Però nello stesso post Squonk parla anche di “causa”, e questo è tutto un altro paio di maniche. Parla di “causa” e di “questi tempi”, alludendo, suppongo, proprio alla “morte delle ideologie” – e alla “fine della storia”, e a tutto il solito corredo di aforismi – come motivo generalmente accettato della fine dei partiti. In verità, io penso sia piuttosto il contrario, e cioè: non è perché al giorno d’oggi, in “questi tempi”, dei partiti non frega più niente a nessuno, che i partiti sono delegittimati e soprattutto deserti, e quindi non contano più niente; è perché da lungo tempo non contano più niente, perché lì dentro non si prende più nessuna delle decisioni che contano davvero, e tantomeno lo si fa democraticamente, che le persone, non avendo tempo da perdere, non ci mettono più piede (il primo che ora mi dice che è per questo che oggi servono le primarie è pregato di accomodarsi all’uscita, andare a casa e cercare su Wikipedia l’espressione: “Nesso di causa-effetto”). Dice: ma la crisi dei partiti è un fenomeno mondiale. Dico: e pure quel che è accaduto dalla vittoria di Thatcher e Reagan in poi, e di cui ancora paghiamo il conto in questi giorni, non solo in senso figurato, mica è uno scherzo. Il che non significa che da tutto quello che ne è seguito non siano venuti anche enormi benefici, si capisce, soprattutto per noi e per quelli come noi (a cominciare dal mezzo attraverso il quale stiamo parlando). Se dunque riformuliamo il problema così – e la domanda difficile diventa: si può fare un grande partito, se poi a noi, a noi che stiamo qui a parlarci da un blog all’altro e a pensare ai problemi del mondo nel tempo libero, tutto sommato, non ce ne frega niente? – ebbene, a occhio e croce, risponderei che se tutti stessero come noi non ce ne sarebbe neanche un gran bisogno, di un partito come quello di cui si parlava; ma siccome, sfortunatamente, la maggior parte degli altri sta parecchio peggio di noi, mi pare naturale che siano gli altri a farlo. Noi, se ne avremo la voglia, il tempo e la convinzione, potremo tutt’al più dare una mano. Per come la vedo io, il miliardario ha lo stesso sacrosanto diritto dell’operaio o del disoccupato di votare e sostenere chi ritiene rappresenti meglio i suoi legittimi interessi, e ha lo stesso sacrosanto diritto di scegliere chi votare e sostenere in base ad altri criteri. Ma se parliamo di un grande partito di massa, con le caratteristiche di quello lì che c’era una volta, e che sospetto fosse già cadavere quando io nascevo, ebbene, non penso che un partito del genere possa poggiare su petizioni di principio e appelli all’opinione pubblica, o su qualche brillante campagna di comunicazione. D’altra parte, io penso pure che i partiti esistano in natura: semplicemente, non tutti si presentano pubblicamente come tali. Ma ad aver bisogno di partiti organizzati e strutturati come tali, per ovvie ragioni, non sono i miliardari e non siamo nemmeno noi che bene o male ci arrangiamo e ci difendiamo da soli (si fa per dire). Ad averne bisogno sono tutte quelle persone che altrimenti non avrebbero alcun modo concreto di esigere – ah, la famosa “esigibilità” di cui si parla tanto in questi giorni! – il rispetto di quei principi e di quei diritti che tanti liberali pensano sia sufficiente scrivere nei codici o nelle costituzioni perché siano effettivamente validi erga omnes. Non avrebbero alcun modo di farlo, dicevo, salvo quello più antico di tutti, e cioè chiederlo come favore, in cambio di voti, denaro o altro (ed è naturale che quando al potere ci stanno i miliardari vada maggiormente di moda l’altro). Ragion per cui la campagna incessante contro i partiti e la loro progressiva destrutturazione, contrariamente a quel che si dice, è secondo me una delle principali cause – non la conseguenza – del dilagare della corruzione nel nostro beneamato e sfortunato paese. Ma questo è un altro discorso, e vi ho accennato solo per dire che non penso che in “questi tempi” ci sia meno bisogno di partiti di massa. Quanto poi i partiti attualmente esistenti in Italia corrispondano a tale esigenza, o almeno se ne pongano il problema, vedete un po’ voi. Per il resto, se siete arrivati fin qui, posso solo aggiungere che ne sono molto spiacente, ma l’altra cosa che volevo dire era proprio questa: che le domande difficili richiedono risposte lunghe, e proprio non avevo tempo per i punti a capo.
Cercherò di spiegare un pochino meglio quel che ho scritto, seguendo alcuni punti del post. No, non uso i termini “idea” o “ragione forte” come sinonimi di “ideologia”. Nemmeno parlo di “causa” alludendo a “morte delle ideologie” con annessi e connessi. Sono convinto che un partito resista al tempo perché le persone che lo compongono credono in qualcosa, e ci credono profondamente: al punto di dedicargli qualcosa di sè – qualcuno un po’ di tempo libero, qualcuno tutto il suo tempo libero, qualcuno la vita intera, intesa come lavoro e affetti. Ognuno declini questa “causa” come meglio crede, gli esempi penso che non manchino. Penso quindi che i partiti – quelli che piacciono o piacerebbero a noi – siano morti proprio perché non c’è più abbastanza gente che creda in cause che richiedano, per essere realizzate, anche l’esistenza di un partito. Mancando la causa, rimane solo l’organizzazione: e insomma, appassionarsi a questa richiede un grado di perversione che non si augura a nessuno, se non al proprio peggior nemico. Se una causa degna di questo nome, qui a sinistra, esista ancora e se sì, quanto questa sia capace di attrarre gente diversa da noi che salviamo il mondo via blog non saprei dire. In generale a me sembra che le cause ci siano ma siano – come dire – sempre più di nicchia. E altrettanto in generale ho la sensazione (non a caso uso una fraseologia trovata nelle tue citazioni dei comunisti degli anni Cinquanta e Sessanta, ma che viene dritta dalla dottrina cattolica) che quel tipo di persona, quel soggetto umano che trova soddisfazione e compimento nel sacrificio sia ormai merce rarissima: se la nuova razza umana è quella dei barbari descritti da Baricco, allora un partito come quelli con i quali io e te siamo nati e cresciuti non ha uno straccio di possibilità di nascere. Cosa possa nascere in alternativa, davvero non lo so.
avrei diverse obiezioni, ma l’ho già fatta troppo lunga per rifilarti pure la replica, per cui mi limiterò a un solo, decisivo punto: con-i-quali-siamo-nati-e-cresciuti a chi? Io sono giovanissimo.
non c’è nessun sacrificio, in un appartenente alla classe lavoratrice, ad impegnare tempo e impegno per un partito di sinistra.
è colpa del partito in questione, se il suddetto appartenente alla classe lavoratrice non capisce che è il tempo meglio speso della sua giornata.
certo, se questa identificazione vittoria del partito = vittoria dei miei interessi è meno che automatica, poi non ci si può lamentare.