Il memoriale di Moro
Com’è noto, ci sono due modi di nascondere un segreto: non parlarne affatto e parlarne moltissimo, confondendo la verità in un mare di ipotesi inverificabili, mezze verità e verosimili bugie. E’ quello che sembra essere accaduto fino a oggi con il caso Moro.
La drammatica vicenda del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro è certamente il principale tra i misteri della Repubblica, ed è un mistero irrisolto. Il 9 maggio del 1978, cinquantacinque giorni dopo il suo rapimento, lo statista democristiano è ucciso dalle Brigate rosse, che dichiarano di eseguire così la sentenza del processo politico imbastito contro di lui durante la prigionia. Ed è proprio attorno ai documenti di questo processo – i fogli su cui Moro stende le sue risposte, principalmente – che il mistero si è fatto negli anni quasi impenetrabile. Queste carte appaiono e scompaiono dalle indagini come per magia, ricompaiono a distanza di decenni in modi non meno misteriosi, si scompongono in versioni diverse (ora in fotocopia, ora in copia dattiloscritta). Versioni sempre incomplete e a volte persino contrastanti.
Di conseguenza, ricostruire la dinamica dei numerosi interventi di manipolazione e depistaggio che quelle carte hanno subito, e le motivazioni di ciascuno di essi, oggi è forse persino più utile che recuperarne integralmente gli originali. Ed è quello che fa Miguel Gotor nel saggio “Il memoriale della Repubblica”, appena uscito per Einaudi.
Dopo avere offerto nel 2008 una ricostruzione filologica dell’epistolario di Moro dal carcere brigatista (“Lettere dalla prigionia”, sempre per Einaudi), Gotor affronta ora il memoriale, già oggetto di infinite speculazioni, e lo fa, di nuovo, a partire dai testi. Sia per le lettere sia per il memoriale, ad esempio, preziosa si rivela l’analisi delle misteriose copie dattiloscritte non firmate degli scritti di Moro, fatte dalle Br per essere sottoposte ai vertici dell’organizzazione senza i rischi immensi che avrebbe comportato per loro trasportare avanti e indietro gli originali. E’ questa analisi che permette di sottrarsi allo schema classico della discussione, tra sostenitori della trattativa con le Br, convinti dell’autenticità degli scritti di Moro, e sostenitori della fermezza, convinti della loro assoluta inattendibilità.
L’esame attento dei manoscritti originali (quando reperibili) e il loro confronto con le copie dattiloscritte (quando possibile) portano Gotor ad affermare una verità più difficile: quegli scritti sono al tempo stesso opera di Moro e dei suoi sequestratori, autentici e distorti, perché frutto di una disperata forma di contrattazione tra il prigioniero e i suoi carcerieri. Di una stessa lettera o di una stessa risposta data nel memoriale, infatti, Moro fu spesso costretto a scrivere diverse versioni, aggiungendo e togliendo secondo le richieste (o per meglio dire, gli ordini) dei suoi aguzzini; ma al tempo stesso provando in ogni modo a beffarli, parlando in codice, tentando di lanciare dei segnali che sfuggissero alla loro censura.
A questa partita a scacchi tra sequestrato e sequestratori se ne sovrappone però un’altra. Se infatti i terroristi usano il prigioniero per destabilizzare la democrazia italiana attraverso le sue non spontanee rivelazioni, lo stato, dal canto suo, si difende cercando di svalutare quelle parole, dichiarandole non autentiche. Tra questi due interventi di manipolazione, il primo alla fonte, direttamente sui testi (da parte dei terroristi), il secondo a valle (da parte del governo e delle forze politiche), davanti all’opinione pubblica, si inseriscono poi gli interventi di corpi dello stato, servizi segreti, intellettuali e giornalisti che a vario titolo partecipano al gioco, sottraggono carte, occultano prove, rendono testimonianze palesemente contraddittorie.
L’essere riusciti a dimostrare gran parte di questi depistaggi (e a darne una convincente interpretazione) sarebbe già motivo sufficiente per scriverci sopra un libro. Ma il saggio di Gotor si spinge molto oltre.
E’ evidente che devono esserci ragioni profonde se ancora oggi, su vicende di questo rilievo, una fitta rete di verità di comodo occupa il dibattito pubblico; una serie di ricostruzioni, analisi e testimonianze reciprocamente assolutorie, in cui si mescolano solidarietà generazionali e di gruppo, grandi illusioni e piccole ambizioni personali, velleità politiche e persino vanità letterarie. Ciascuna di tali miserie ha avuto la sua parte nella grande tragedia nazionale. Ecco perché, nel suo insieme, questa vicenda rappresenta davvero il “Memoriale della Repubblica”. Senza Grandi Vecchi dietro le quinte, ma con parecchi giovani rivoluzionari invecchiati sul palco (cioè male), perennemente in fuga dalle proprie responsabilità, non sempre e solo morali. Spesso l’unica, profonda, disperata forma di coerenza della loro vita. (il Messaggero, 9 maggio 2011)
analisi come sempre puntuale del saggio dell’ormai definibile grande Miguel Gotor
e qui, in alcune pagine, anche immenso