Terra bruciata
Il flusso incessante delle notizie genera a volte, per pura coincidenza, illuminanti accostamenti. E’ il caso dell’ultima polemica sulle dichiarazioni di Silvio Berlusconi contro i magistrati, seguite dalle consuete proteste dell’opposizione, e delle dichiarazioni della presidente di Confindustria sulla sentenza Thyssen, giudicata come il preoccupante segnale di una tendenza che “se dovesse prevalere allontanerebbe gli investimenti dall’Italia”, seguite dalle proteste dei sindacati e della Lega. E basta.
Nemmeno la polemica sugli applausi della platea per l’amministratore delegato del gruppo tedesco, condannato per il rogo in cui nel 2007 morirono sette operai, sembra avere suscitato particolari reazioni, a sinistra. Del resto, è parecchio tempo che nulla sembra più suscitare particolari reazioni, da quelle parti. Come se l’indignazione permanente contro le malefatte del presidente del Consiglio avesse prodotto una sorta di atrofia dell’anima, una paralisi morale che sconfina a volte nel grottesco. Come quegli attori americani divenuti famosi interpretando spostati e disadattati di ogni genere, che a fine carriera sembrano ormai semplicemente incapaci di assumere un’espressione normale, anche solo per ordinare un caffè o pagare una bolletta.
Si può dare la colpa di tutto questo a Berlusconi, naturalmente. E di sicuro le sue dichiarazioni di ieri sui magistrati, nel giorno della memoria, sembrano fatte apposta per attizzare ancora una volta il fuoco di quella “guerra civile” che continua a denunciare come se lui ne fosse soltanto la vittima impotente, invece che uno dei principali attori. Ma forse sarebbe più interessante notare quanto il presidente del Consiglio, in tutti questi anni, abbia fatto scuola, come dovrebbe risultare evidente non solo dalle infelicissime parole della Marcegaglia, ma anche dal silenzio del Partito democratico (scavalcato ieri, in proposito, persino dal ministro dello Sviluppo Paolo Romani).
Va da sé che la Confindustria, nelle sue assemblee, ha tutto il diritto di invitare a parlare chi preferisce; che un uomo condannato da un tribunale a una pena pesantissima, sia pure soltanto in primo grado, ha più diritto di chiunque altro a non subire anche un processo accessorio sui giornali; che Emma Marcegaglia, come qualunque cittadino, ha il diritto di esprimere tutti i suoi dubbi su qualsiasi sentenza, e tanto più su una sentenza così significativa in tema di sicurezza sul lavoro e responsabilità delle imprese. Ma proprio per questo, qui è il punto, prima di compiere certi gesti e fare certe dichiarazioni, in un paese che nel campo delle morti sul lavoro detiene uno stabile primato, sarebbe stata auspicabile una valutazione più attenta della loro opportunità e della loro forma, se non altro.
Quanto al Partito democratico, sui giornali di ieri, il suo silenzio era drammaticamente evidenziato proprio dal fatto che l’unico a parlare fosse l’ex operaio Thyssen Antonio Boccuzzi, oggi parlamentare del Pd. In pratica, per fatto personale. Eppure la vera questione morale che tocca ormai tutti i partiti è proprio questa: venuto meno ogni legame di rappresentanza – l’idea cioè che diversi partiti rappresentino innanzi tutto diversi interessi, tutti ugualmente legittimi – a cosa si riduce dunque la contesa politica ed elettorale? Dal momento in cui tutti rappresentano o aspirano a rappresentare tutti indistintamente, che differenza rimane, quale argomento può motivare la militanza o anche soltanto il voto all’uno invece che all’altro, in nome di che cosa si domanda il consenso dei cittadini? Non resta che una distinzione possibile: la divisione manichea tra buoni e cattivi. L’imbarbarimento della lotta politica, la confusione tra politica, morale e giustizia, viene di conseguenza. Il reciproco riconoscimento tra le forze politiche di cui spesso si lamenta la mancanza, quando c’era, non era infatti altro che questo: il reciproco riconoscimento di una diversa ma ugualmente legittima funzione di rappresentanza. Di qui la vera questione morale di oggi: perché, se il partito non ha più un blocco sociale e di interessi sulla base del quale misurare le sue scelte, le sue prese di posizione e la sua stessa attività legislativa, in che modo identifica bene e male, nella pratica concreta della politica di ogni giorno? Su che base stabilisce se un compromesso è accettabile o non lo è? Venuto meno il vincolo di rappresentanza, nell’epoca della società civile che si auto-organizza e si auto-rappresenta (e dei partiti ridotti, di conseguenza, a puri comitati elettorali), allora davvero tutto è lecito, tutto è permesso.
E così il cerchio si chiude. E la lunga campagna che in nome della questione morale e della lotta contro la corruzione ha fatto giustizia dei partiti minaccia ora di lasciare sul terreno, quando anche berlusconismo e antiberlusconismo avranno infine ceduto il passo, nient’altro che un sistema di oligarchie intercambiabili, difficilmente distinguibili e per niente irreprensibili. (il Foglio, 10 maggio 2011)
condivido in toto.