Moratti Anno Zero
La conclusione del faccia a faccia tra Letizia Moratti e Giuliano Pisapia ha un valore simbolico che va oltre il voto di Milano. Approfittare di avere l’ultima parola per lanciare sul proprio avversario un’accusa infamante, sostenendo che sarebbe stato condannato per il furto di un’auto, per giunta di un’auto poi usata per il “pestaggio di un ragazzo”, non è solo un colpo sotto la cintura, e non è per questo che sorprende. Quello che sorprende è vedere proprio il sindaco di Milano, la candidata di Silvio Berlusconi, trasformare di colpo il faccia a faccia in una di quelle trasmissioni televisive che tanto irritano il presidente del Consiglio, attirandosi spesso le sue indignate telefonate. E’ vedere persino la mite Moratti estrarre carte giudiziarie su fatti vecchi di decenni, e che nulla hanno a che fare con la campagna elettorale, per colpire l’immagine dell’avversario. Segno inequivocabile di quanto un certo modello politico-giornalistico abbia ormai fatto scuola.
A destra lo chiamano giustizialismo, moralismo o più semplicemente antiberlusconismo; a sinistra metodo Boffo, macchina del fango o più semplicemente populismo. Ma è una corrente che attraversa entrambi gli schieramenti, e non da oggi. E’ un fiume carsico che appare e scompare lungo l’intera storia repubblicana. Con le sue piene, come ai tempi di Mani Pulite, può travolgere il sistema politico e cambiarne completamente il panorama. Ma le sue ricorrenti inondazioni, come le acque del Nilo, possono rivelarsi al tempo stesso un potente fertilizzante per movimenti e partiti, giornali e case editrici, siti internet e programmi televisivi. Un fenomeno che è ormai un’industria, a metà tra politica, informazione e spettacolo, con i suoi tecnici e i suoi operai specializzati, e con il suo star system.
Non si tratta soltanto dell’uso politico delle carte giudiziarie. Dalla crisi del 1992, quando il crollo della Prima Repubblica lasciò l’Italia sull’orlo della bancarotta, si è stabilito un collegamento strettissimo, nella mente di tanti, tra corruzione politica e crisi finanziaria. Una propaganda incessante e trasversale ha quindi accreditato l’equazione, storicamente e matematicamente falsa, privilegi della casta = costi della politica = debito pubblico.
Gradualmente, questa campagna incessante ha abbattuto ogni argine, ogni anticorpo. In un clima simile, qualsiasi accusa è diventata credibile, qualsiasi sospetto verosimile. Basta fare un giro tra gli scaffali delle librerie: la proliferazione di titoli sulla presunta trattativa tra lo stato e la mafia è solo l’ultimo grido della moda, ma l’intera storia d’Italia e ogni spicchio di attualità è raccontato ormai in questa stessa chiave, attraverso lo stesso genere di fonti (di solito, efferati criminali più o meno pentiti) e con le stesse categorie. Una galleria degli orrori a metà tra la sceneggiatura del Padrino e quella dei Soprano.
Eppure, il successo editoriale di tante campagne non sembra nemmeno scalfire i suoi bersagli. La materia prima, infatti, non viene mai a mancare. E poi, naturalmente, bisogna distinguere: denunce puntuali e circostanziate suscitano indignazione e voglia di intervenire per cambiare le cose; mentre una gragnuola incessante di dicerie, teorie del complotto e pettegolezzi da bar, alla lunga, suscita l’effetto contrario. Nel primo caso, la denuncia è un atto di coraggio civile; nel secondo, è la più comoda e meglio remunerata forma di conformismo. E produce l’Italia di questi anni.
Distinguere è però sempre più difficile. Il problema, infatti, è proprio la costante equiparazione di tutto e tutti nel generale discredito, che molti spacciano per equanimità. E’ la riduzione di ogni problema politico a pura lotta per il predominio tra bande rivali. Una deformazione della realtà che diffonde sfiducia e disincanto, dunque non fa che allontanare i cittadini e scoraggiarne la partecipazione. Fa cioè venire meno proprio quel controllo sociale che rappresenta il primo presidio della democrazia contro ogni forma di corruzione, e così dissoda il terreno su cui potranno attecchire sempre nuovi scandali. Un circolo vizioso di cui non vediamo ancora la fine. (il Messaggero, 13 maggio 2011)
Eh no, non è un “clima”. E’ che la Moratti racconta balle. Non è una cosa trasversale, non è un’abitudine e soprattutto non c’entra assolutamente niente Mani Pulite.
Trovo sia contraddittorio lamentarsi che non si sappia più “distinguere” e poi concludere che, sostanzialmente, “sono tutti marci”, infilandoci dentro di tutto.
Se capisco bene, secondo te avrei fatto cosa più giusta e più utile a scrivere “Moratti-cacca” per quattromila battute di fila. Non ne sono persuaso.
P.S. Comunque no, il punto del mio articolo non è che, signora mia, non si sa più distinguere nulla. E’ che tutto questo – la porcata della Moratti, certo, ma non dimenticherei neppure una vicenda da niente come quella di Ciancimino, per dirne una – è il frutto di una precisa campagna che dura da vent’anni contro la politica e i partiti, che a questo li ha ridotti (era facile: dico sempre le stesse cose)
Chi fa questa campagna? Nomi e cognomi, e fatti circostanziati, ovvero: chi ha detto calunnie intenzionalmente e per uso politico? Quante volte? A costo di essere lunghi, bisogna fare così.
Ciancimino è un buon esempio.