Bilanci
Quando Silvio Berlusconi annunciò per la prima volta la sua discesa in campo avevo quindici anni, andavo al liceo e fino a quel momento non avevo mai sentito nessuna particolare vocazione per l’impegno politico. Si dice tanto male degli effetti che avrebbe la televisione sui giovani, ma è stato proprio guardando la tv – guardando Berlusconi in tv, per essere precisi – che mi sono detto: se scende in campo lui, allora scendo in campo anch’io (quale delle due decisioni abbia avuto la maggiore influenza sul corso della politica italiana lo diranno gli storici, naturalmente). Da allora, sono stato un militante del Pds e poi dei Ds per circa tredici anni, fino al 2007, quando si decise che il battesimo del nuovo Partito democratico – per il quale anch’io, nel mio piccolo, mi ero battuto – sarebbe avvenuto con le primarie, un minuto dopo avere deciso che il leader sarebbe stato Walter Veltroni (mi piace pensare che in fondo le ragioni per cui decisi di ritirarmi non erano molto diverse da quelle per cui avevo deciso di impegnarmi). Ricordo tutto questo perché adesso, diciannove anni dopo, sentire che Berlusconi annuncia la sua discesa in campo mi fa un po’ l’effetto di quando scanalando capito su quei canali che ritrasmettono Arnold, Magnum P.I. o i Robinson: la prima sensazione è una tenerezza infinita, e il primo pensiero è che a quei tempi era davvero tutto bellissimo, ma trenta secondi dopo ho già cambiato canale. La verità è che le leggi della politica-spettacolo sono crudeli: il partito personale è destinato a invecchiare sul palco con il suo leader-proprietario. E pazienza se nel frattempo la vecchia Casa delle libertà è diventata la Casa del Grande Fratello. Stamattina a cedere è stato Guido Crosetto, che ha abbandonato in diretta gli studi di Omnibus perché letteralmente non sapeva più cosa dire, un po’ come Flavia Vento all’Isola dei famosi. Domani toccherà a qualcun altro. Lo spettacolo deve continuare, ma la partita è finita prima di cominciare.