La via dello zucchero
Qualche giorno fa, fermo a un semaforo, ho visto un gruppo di turisti americani davanti a una pasticceria che onestamente non sapevo essere particolarmente rinomata. Prima di ripartire ho fatto a tempo a cogliere solo un paio di frasi smozzicate, pronunciate dalla guida, che giusto in quel momento stava scandendo con voce ferma, col tono con cui si direbbe a un bambino di non aprire il cassetto dei coltelli: “Never ever order a cappuccino after a meal… italians…”. Immagino che la frase finisse con la spiegazione di quanto noi italiani pensiamo male di chi ordini un cappuccino dopo pranzo. Ma il bello è che io, fermo con il mio motorino al bordo del marciapiede, ero praticamente in mezzo ai turisti, disposti a semicerchio attorno alla guida. Ce n’era uno coi capelli bianchi, visibilmente accaldato, che in quel momento si stava togliendo il berretto per asciugarsi il sudore dalla fronte, due signore che si davano di gomito, un signore più defilato che osservava quel normalissimo palazzone del quartiere Testaccio come fosse stato ai piedi del Colosseo. E così non ho potuto fare a meno di notare la potenza dell’ambiente, del contesto, del linguaggio dei corpi – non ho potuto fare a meno di notare quanto tutte queste cose ci influenzino, voglio dire – mentre allo scattare del verde ripartivo verso la redazione, riflettendo su quanto strani siano questi italiani, e domandandomi quale differenza sostanziale ci sarà mai tra un caffè e un cappuccino, alla fine del pranzo.
Il latte?
Il latte che rallenta la digestione…