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Fraterni saluti

24/01/2014

C’era un passaggio delicato tra la fase della scelta delle candidature operate dal gruppo dirigente e l’avvio della procedura pubblica di consultazione: era il momento in cui il segretario ti chiamava per un colloquio a due che si svolgeva nella sua stanza. Lui restava di là della scrivania, quasi a segnare le distanze del chi decide e spesso faceva finta di leggere un foglietto di appunti, forse per non guardarti negli occhi. Ma tutto si capiva aprendo la porta ed entrando in quella stanza. Se il segretario ti accoglieva chiamandoti per nome, potevi sederti tranquillamente: sicuramente ti proponeva una promozione, di candidarti a un livello istituzionale superiore. Se ti chiamava per cognome, potevi sederti ma con accortezza, seguendo lo sguardo, i silenzi e le smorfie del segretario, misurando non solo le sue parole, ma i toni e le sfumature della sua voce, perché stava per proporti uno spostamento da un posto all’altro, anche se importante, e in un attimo dovevi comprendere le ragioni e dare una risposta: la tua disponibilità per il nuovo lavoro.
Se, entrando, il segretario ti chiamava “compagno”, o peggio “caro compagno”, potevi chiudere la porta e tornartene a casa, perché ti avevano fatto fuori.

(Alberto Provantini, “Cari compagni… fraterni saluti”)

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  1. Anonimo permalink
    25/01/2014 18:31

    QUESTO SCRITTO E’ QUANTO MAI OPPORTUNO, COME UN CARO SALUTO, IN QUESTO MOMENTO CHE IL COMPAGNO ALBERTO CI HA LASCIATO…

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