Riforme e alleanze, cosa cambia
Le ricostruzioni dell’indomani non sono state meno varie delle previsioni della vigilia. E forse è questa la vera prova che l’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica, al quarto scrutinio e con una maggioranza di quasi due terzi, è stata un’operazione politica di grande successo. Una vittoria dotata come sempre di molti padri, ciascuno con la sua storia da raccontare su come a quella scelta si è arrivati, ma soprattutto su dove quella scelta ci porterà. Perché una cosa è sicura: l’elezione di Mattarella, per le caratteristiche dell’uomo non meno che per le caratteristiche della maggioranza che lo ha portato al Quirinale, è destinata ad avere un’influenza profonda su tutte le principali partite ancora aperte tra le forze politiche. Sebbene, forse, meno sconvolgente di quanto potrebbe apparire a prima vista.
Berlusconi e il Presidente
Tra i molti padri dell’elezione di Mattarella non rientra sicuramente Silvio Berlusconi. A questo punto non importa molto sapere se sia vero che abbia provato fino all’ultimo a dissuadere Renzi dal proporlo, offrendosi di votare qualunque altro dirigente del Pd, compresi i mai amati ex comunisti, come raccontano i retroscena. Importa che sia verosimile. Del resto, è nota l’avversione berlusconiana per gli esponenti della sinistra dc. Un’avversione dovuta forse non soltanto al celebre episodio delle dimissioni di ben quattro ministri, tra i quali lo stesso Mattarella, in protesta contro la legge Mammì (quella che salvava le tv del Biscione). Molti si spingono a vedere tra cattolicesimo democratico e berlusconismo un’alterità radicale, se non antropologica, almeno culturale. Una tesi che appare confermata da un vecchio discorso di Mattarella, tornato a galla in questi giorni sul web, a proposito del “bombardamento commercializzato di modelli di vita cui oggi siamo sottoposti”. Può darsi che Berlusconi riesca comunque a ricostruire un rapporto con il nuovo Presidente. Certo è che non poteva cominciare peggio.
Il patto del Nazareno
Vittima designata dell’elezione di Mattarella, in ogni caso, sembrerebbe essere il famigerato patto del Nazareno. Su questo non ci sono dubbi, almeno se prendiamo per buona l’interpretazione che di tale accordo hanno dato sin qui i suoi numerosi critici, di destra e di sinistra, nella minoranza del Pd come in quella di Forza Italia, passando per Lega, Cinquestelle e Sel. Se cioè consideriamo il patto del Nazareno come un accordo politico a trecentosessanta gradi, che avrebbe dovuto costituire una sorta di maggioranza politica non dichiarata. Anzi, di fatto, la vera e sola maggioranza politica capace di governare il paese, pronta a entrare in gioco e a determinare l’esito di tutte le partite più importanti, a cominciare dalla scelta del capo dello stato. Se questo era il patto del Nazareno, oggi è senza dubbio morto e sepolto. Se era invece semplicemente – si fa per dire – l’accordo tra i due principali partiti di maggioranza e opposizione sulle riforme costituzionali e sulla nuova legge elettorale, non si capisce chi potrebbe trarre vantaggio dalla sua rottura. Non certo il Pd, che grazie a quell’accordo è arrivato ormai a un passo dall’approvazione delle riforme, tanto meno adesso che può dire di avere smentito tutte le leggende nere che gli avversari vi avevano costruito intorno. Ma neanche Forza Italia, visto l’esito certo non incoraggiante dello strappo sul Quirinale. Strappo peraltro subito ricucito, almeno parzialmente, con la scelta di votare scheda bianca. Nella sostanza, e anche nei toni delle dichiarazioni con cui è stata presentata, la posizione di Forza Italia è apparsa più vicina a quella del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, che pure alla fine ha deciso di votare a favore, che a quella della Lega di Matteo Salvini, schierata dal primo minuto sulla linea del rifiuto più netto e perfino sprezzante.
La maggioranza di governo
La posizione più difficile, in questa complicata partita, è apparsa a molti proprio quella di Alfano, tanto da fare ipotizzare una crisi del suo rapporto con il presidente del Consiglio, se non direttamente una crisi di governo. Certo il primo tentativo di sostituire il patto del Nazareno con il cosiddetto patto del Colle, quello stretto tra Ncd e Forza Italia nella partita del Quirinale, non è stato coronato da successo. Proprio per questo, però, dedurne una prossima crisi della maggioranza di governo sembra quanto meno prematuro. Per rappresentare una minaccia credibile all’attuale maggioranza, Alfano dovrebbe disporre di una credibile alternativa politica. Il fatto che le tre principali forze del centrodestra abbiano assunto tre posizioni diverse – e nel caso della Lega, si direbbe, perfino inconciliabili – non può certo suonare come un buon auspicio alle orecchie di chi volesse rovesciare il tavolo del governo Renzi e magari, perché no, puntare alle elezioni anticipate (inutile dire che ogni altra minaccia, priva di questo indispensabile sottotesto, suonerebbe al massimo come ammuina).
Le elezioni (regionali)
D’altra parte, che Alfano lo voglia o no, elezioni sono in arrivo, sia pure (per ora) solo regionali. Non è chiaro se Ncd alla fine deciderà di correre con gli alleati di governo oppure con Forza Italia, se sceglierà di presentarsi da solo o se farà tutte e tre le cose, correndo in una regione di qua e nell’altra di là. Certo l’eco delle polemiche contro gli “infiltrati” del Nuovo centrodestra alle primarie liguri non suona come un invito particolarmente caloroso da parte del Pd. Tanto meno se alle elezioni regionali si dovessero sommare, per qualsiasi ragione, le elezioni politiche.
Le elezioni (politiche)
Considerate le divisioni e anche il comprensibile scoramento nel campo del centrodestra, gli unici che potrebbero avere la tentazione di approfittarne andando subito al voto si chiamano entrambi Matteo: Salvini e Renzi. A ben vedere, però, il primo non ne ha la possibilità, il secondo non ne ha l’interesse. Ora, per il presidente del Consiglio, è il momento di passare all’incasso, prima raccogliendo gli elogi per come ha saputo giocare la partita del Quirinale e subito dopo con l’approvazione della nuova legge elettorale (che però entrerà in vigore solo nel 2016) e della riforma costituzionale (idem). Se proprio dovesse decidersi a correre verso elezioni anticipate, ammesso e non concesso che il nuovo inquilino del Quirinale sia dello stesso avviso, è ragionevole pensare che Renzi preferisca farlo da padre del nuovo assetto istituzionale della Repubblica, piuttosto che da riformatore mancato.
(il Mattino, 2 febbraio 2015)