Era meglio dividersi da piccoli
La discussione sui toni e i modi mi interessa fino a un certo punto, perché penso che sul modo in cui si discute dentro il Partito democratico – frutto anzitutto della logica delle primarie – nessuno possa scagliare la prima pietra. Ma anche perché penso che i toni usati da Massimo D’Alema all’iniziativa della sinistra pd siano inevitabili, se si vogliono davvero “unificare” bersaniani e civatiani, dalemiani e ulivisti. Non vedo che altro si potrebbe inventare per tenere insieme chi, come Stefano Fassina, ha sempre criticato l’operazione Monti ed è arrivato a parlare di “uscita cooperativa dall’euro”, e chi, come Pier Luigi Bersani o lo stesso D’Alema, l’operazione Monti l’ha promossa prima e rivendicata poi, considerandola come la scelta più naturale e in continuità con la storia del centrosinistra, con la sua stagione di governo, con il suo europeismo e la sua idea delle compatibilità economiche e politiche (considerazione, peraltro, non manifestamente infondata). Le critiche che Gianni Cuperlo ha mosso a D’Alema dal palco, secondo me, evidenziano un dissenso non facilmente ricomponibile proprio su questo punto (in poche parole: se la stagione dei governi dell’Ulivo sia il modello cui ritornare o lo schema subalterno di cui liberarsi). Nel merito, personalmente, la penso come Cuperlo (per la seconda ipotesi), ma se le minoranze che si vogliono unificare non sono d’accordo su questo, cioè sulla strategia di fondo, temo che ci siano poche alternative alla piattaforma proposta da D’Alema, riassumibile nella tesi secondo cui il Pd sarebbe diventato “la più grande macchina redistributrice del potere” e di conseguenza “la più grande forza di attrazione del trasformismo italiano”. Meglio nota, in termini politologici, come linea Renzi-cacca.