Renzi e il futuro di un’illusione
Ci sono due passaggi che mi sono piaciuti particolarmente nella relazione di Matteo Renzi alla direzione del Pd sulla legge elettorale. Sfortunatamente, ho l’impressione che il primo non lo abbia colto lui, il secondo gli altri. Il primo passaggio che mi è piaciuto è stato il riferimento a un articolo che non ho letto, in cui Francis Fukuyama avrebbe denunciato il rischio che il sistema politico statunitense si trasformi in una “veto-crazia” e portato a esempio di governabilità i sistemi europei, riferendosi in particolare, ha spiegato Renzi, alla Germania e ai paesi scandinavi. E’ davvero un peccato che Renzi non abbia approfondito questo spunto, perché a mio parere non è poco significativo che il cantore della “Fine della storia”, vale a dire il massimo teorico del valore universale del “modello americano” all’inizio degli anni novanta, ci dica oggi che quel sistema forse non funziona tanto nemmeno nella sua patria di origine, mentre a funzionare meglio sarebbero proprio quei sistemi europei ai quali più assomigliava l’assetto politico istituzionale della nostra Prima Repubblica (prima che, per inseguire il modello americano, cominciassimo a sfasciarlo). Il secondo passaggio che mi è piaciuto è stato quello in cui Renzi ha detto che secondo lui Maurizio Landini non solo non rappresenta il futuro, ma non rappresenta neanche il passato della sinistra. Ho l’impressione che non sia stato colto, forse perché sommerso dalla polemica sui “soprammobili da talk show”, eppure a me sembra uno scarto significativo rispetto allo schema classico della polemica renziana. Il Renzi delle primarie contro Pier Luigi Bersani (ma anche quello delle primarie contro Gianni Cuperlo, direi) non avrebbe mai fatto una simile distinzione. Avrebbe detto l’esatto contrario, bollando Landini come la vecchia sinistra e presentando se stesso come l’alfiere del nuovo. L’animale da primarie del 2012 non si sarebbe mai lasciato scappare una simile occasione per sciorinare tutti gli stereotipi sull’ammuffita storia della sinistra che piacciono tanto alla gente che piace. La scelta di rivendicare invece il proprio ruolo in quella tradizione e dare battaglia anche su quel terreno, senza mostrare alcuna intenzione di cedere senza combattere la propria legittima parte di quell’eredità storica, secondo me, è una novità significativa. E anche piuttosto incoraggiante. Incoraggiante, dico, innanzi tutto per il futuro del Partito democratico in generale, chiunque ne sia domani il segretario.