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Dietro una vittoria mutilata

03/06/2015

il FoglioIl Pd ha vinto di misura il campionato delle regionali, ma ha perso il derby, in Liguria, con i suoi avversari interni. Sostenere che il quarto posto di Luca Pastorino (9 per cento) sia tutt’altro che un gran risultato, per la candidatura promossa da Pippo Civati, Sergio Cofferati e Nichi Vendola, come sostiene il vertice del Pd, significa dimenticare quello che lo stesso vertice del Pd ha ripetuto fino alla noia: e cioè che il loro obiettivo non era vincere, ma far perdere il Pd. E se così è, va detto che quell’obiettivo è stato centrato (certo anche per la debolezza della candidata democratica Raffaella Paita).
Dentro il Partito demcratico lo scontro è stato senza esclusione di colpi e non ha risparmiato nemmeno la commissione Antimafia, ma la minoranza è riuscita se non altro a dimostrare di potere ancora far male, oggi grazie a una gestione certo non brillante delle candidature da parte della maggioranza, e domani, ironia della sorte, grazie a quella nuova legge elettorale (con ballottaggio) che la stessa minoranza ha combattuto in ogni modo.
Qui però finiscono le buone notizie anche per il variegato mondo della sinistra antirenziana, ovunque collocata (dentro, fuori o sulla soglia del Partito democratico). E non solo perché nel teatro decisivo dello scontro, dove si presentavano tutte le condizioni più favorevoli, la sinistra radicale ha preso il 9 per cento, che è un po’ poco per immaginare un grande futuro a livello nazionale. Ma soprattutto perché, nel resto della penisola, non è mai nemmeno entrata in partita, da nessuna parte. Insomma, senza il pasticcio delle primarie liguri e tutto quel che ne è seguito, è probabile che Vendola e compagni oggi sarebbero stati impegnati a commentare il 2,5 in Umbria, il 2,3 in Campania e lo 0,9 in Veneto (o al massimo il 6,2 in Toscana, dove però il Pd ha la maggioranza assoluta praticamente da solo). Le masse di operai e insegnanti che secondo alcuni avrebbero dovuto sconfessare le politiche del governo, di sicuro non hanno premiato la sinistra radicale. Lo conferma, all’interno del Pd, il voto sui consiglieri regionali, che anche nelle regioni rosse vede un ridimensionamento della sinistra interna. E’ vero che nella raccolta delle preferenze gli ex dc sono sempre stati più forti, ma certo, per chi puntava a raccogliere il dividendo dell’opposizione interna alle politiche renziane, il risultato non è incoraggiante.
Allo stesso tempo, però, la vittoria mutilata ottenuta nelle urne non è molto incoraggiante nemmeno per Renzi. Il Pd mostra ovunque preoccupanti segni di debolezza, anche dove vince. Basta per tutti il tragicomico esempio della candidatura di Vincenzo De Luca, che il vertice nazionale ha tentato in tutti modi di evitare prima, e poi ha dovuto difendere a costo della vita, rischiando seriamente di rimettercela. Ma tanto in Campania, dove alla fine si è vinto, quanto in Liguria, dove si è perso, è evidente che il cuore del problema è stato, prima delle elezioni, il venir meno del Pd in quanto tale, l’incapacità dei suoi vertici (nazionali e locali) di resistere alle pressioni, ai piccoli ricatti e alle mille spinte centrifughe. Una debolezza da imputare anzitutto al potere centrale, cioè alla leadership renziana, che ha tuttavia radici antiche. Nel sud, in particolare, al debole insediamento del partito continuano a supplire leadership carismatiche che minacciano di far sentire presto il loro peso: dallo stesso De Luca a quel Michele Emiliano che ha già inaugurato, con l’apertura ai Cinquestelle, la sua personale linea politica, e forse non solo sua.
Data questa condizione di debolezza strutturale del partito, può darsi che in Campania e Liguria sarebbe andata com’è andata in ogni caso, ma con il senno di poi (e per la verità, per quanto ci riguarda, anche di prima) è difficile negare che senza un meccanismo come quello delle primarie si sarebbero potuti evitare, o perlomeno molto ridimensionare, tanto il caso Paita quanto il caso De Luca. Per il campione delle primarie che oggi siede a Palazzo Chigi è senza dubbio un bel contrappasso.

(il Foglio, 2 giugno 2015)

One Comment leave one →
  1. 03/06/2015 22:07

    Beato te che pensi ciò che scrivi, vuol dire che caro tasse e caro bollette non sono per la tua persona un problema, complimenti, non ti invidio perché peccherei. Al contrario di te, i problemi che si scontrano con la mia persona, sono altri, mi arrampico sugli specchi per pagare le tasse che servono per mantenere i nostri padroni. Chi sono i nostri padroni? Proprio quelli di cui ne parli. Finché la salute mi aiuta, cercherò di fare il mio dovere di servo, contribuendo al loro mantenimento.

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