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Il garantismo e l’anima della sinistra

08/05/2016

unitaLa corruzione, la questione morale, lo scontro tra politica e giustizia. Ecco il centro del dibattito politico italiano, da quasi un quarto di secolo. Un copione sempre identico, dal quale sembra impossibile uscire. Un esempio? A innescare una delle ultime polemiche su politica e giustizia erano state, tra le altre, queste parole di Piercamillo Davigo, neopresidente dell’Anm ed ex membro del pool Mani Pulite: «Nessuno viene messo dentro per farlo parlare; viene messo fuori se parla, che è una cosa diversa» (19 aprile 2016). Comunque la si pensi, nel merito, su questa affermazione, sul principio di presunzione di innocenza e sul principio di non contraddizione, a colpire è il fatto che questa dichiarazione, con tutti i suoi antecedenti e con tutte le sue conseguenze, è già stata pronunciata, commentata e dimenticata.
«Non incarceriamo la gente per farla parlare. La scarceriamo dopo che ha parlato», dichiarava infatti al Giornale Francesco Saverio Borrelli, capo del pool di Milano, il 4 giugno 1993. Ce lo ha ricordato recentemente il bel libro che Mattia Feltri ha scritto su quella stagione: Novantatré (Marsilio). Un libro tutto al futuro anteriore: il racconto di quell’anno terribile fatto giorno per giorno, ma con il senno di poi. Sapendo cioè, e potendo quindi anticipare al lettore, come ciascuna di quelle vicende, giudiziarie, politiche e umane, sarebbe andata a finire. E qui si pone il problema evidenziato dalla citazione di Davigo: che rispetto al 1993 oggi possiamo vedere, forse, l’Italia di poi. Ma il senno?
Non è un problema da poco. Di fronte alle tante prese di posizione citate da Feltri – che ricorda implacabilmente le dichiarazioni più sconcertanti pronunciate allora da politici, magistrati e giornalisti – il sospetto è che ognuno di noi, ancora oggi, continui a non vederci nient’altro che quello che già pensava prima di leggerle (in Italia, purtroppo, i “fatti” hanno questa speciale equanimità: confermano sempre i pregiudizi di tutti).
Un altro esempio? Le immagini di Enzo Carra portato dal carcere all’aula del tribunale (dove era imputato per «false o reticenti dichiarazioni al pm»), tra due ali di giornalisti, con gli schiavettoni ai polsi. Quell’inutile esposizione alla gogna produsse allora, almeno per un momento, un moto di indignazione. La notizia del sindaco di Lodi portato via in manette per il reato di turbativa d’asta, con poche eccezioni, non ha suscitato praticamente nulla. Come mai?
Molti sostenitori delle tesi garantiste, a cominciare dallo stesso Mattia Feltri, puntano il dito contro i postcomunisti. Secondo alcuni, magistrati e giornali sarebbero stati semplicemente lo strumento della sinistra per arrivare al potere, sbarazzando il campo dei loro avversari. Secondo altri – o anche gli stessi, in altri momenti – sarebbero stati invece i postcomunisti a piegarsi al disegno dei pm e dei gruppi economici proprietari dei grandi giornali. Entrambe le tesi, a nostro parere, contengono più di un grano di verità, ma anche parecchi grani di incongruenza. E soprattutto non spiegano come mai questa diabolica manovra abbia potuto riuscire proprio ai comunisti, emarginati per cinquant’anni dal governo e sconfitti dalla storia, come ci ricordano sempre i sostenitori di queste tesi.
Su questo tema sono dunque particolarmente interessanti le riflessioni che Luigi Manconi ha affidato al suo nuovo libro: Corpo e anima (Minimum Fax, a cura di Christian Raimo). Anzitutto perché espresse da lui: cioè da un politico di sinistra, proveniente da Lotta Continua, che come molti suoi ex compagni il garantismo lo ha scoperto contestando una certa applicazione giudiziaria della lotta al terrorismo e alla violenza politica. Qualcuno cioè che il garantismo lo ha scoperto contestando sì una certa “politicizzazione” della magistratura e anche un certo “uso politico” della giustizia da parte del Pci, ma sempre da sinistra. Un percorso del resto comune a molti. La differenza è che poi Manconi, a sinistra, ci è anche rimasto.
Breve sintesi del suo pensiero in merito: 1) Il garantismo non riguarda solo i casi giudiziari, ma in generale «l’affermazione dei diritti costituzionalmente protetti, da quelli politici a quelli civili e sociali». 2) Non è vero che «la sinistra non è più garantista», perché la sinistra, salvo frange minoritarie, garantista non è mai stata: il cuore del suo impegno è sempre stato la promozione dei diritti collettivi, non di quelli individuali. 3) Nonostante questo, e nonostante i garantisti siano comunque pochi, la maggioranza dei garantisti è di sinistra: «Trovi uno, a destra, che esprima posizioni garantiste nei confronti degli immigrati o dei rom?».
Quanto a lui, Manconi, di questo ha fatto il cuore della sua personale iniziativa politica: la difesa dei diritti dell’individuo dagli abusi del potere, una religione dell’habeas corpus che proprio nel corpo delle tante vittime di cui si è preso a cuore la vicenda, da Stefano Cucchi a Giulio Regeni, attraversa tutti i livelli della politica, dal più piccolo e dimenticato episodio di cronaca locale al grande caso internazionale. Un’iniziativa instancabile che Manconi chiama «politica delle questioni intrattabili» e che spiega il bel titolo del suo libro, Corpo e anima, e il bellissimo sottotitolo: Se vi viene voglia di fare politica.
Se vi viene voglia di fare politica, sembra dire dunque Manconi, vi ci dovete buttare dentro come faccio io: corpo e anima. Dovete partire dai corpi, cioè dal caso concreto, individuale, in cui l’ingiustizia incide più a fondo, e chissà che tentando di risolvere quel piccolo caso, o almeno di alleviare quella condizione di sofferenza, non troviate anche l’anima della grande politica. È una bella domanda, dalla risposta non scontata, che ha comunque molto a che fare con la sclerosi del nostro dibattito pubblico nell’ultimo quarto di secolo. Come ricorda Manconi, infatti, sin dalla crisi del 92-93 è come se tante energie e movimenti, anche i più nobili, come i ragazzi che manifestavano a Corleone contro la mafia dopo l’omicidio di Falcone e Borsellino, si fossero poi incanalati verso un’unica richiesta: la legalità. «Una versione mite e democratica, ma talvolta anche aggressiva e autoritaria, del classico slogan “legge e ordine”. E a questo esito ha contribuito il fatto che quei movimenti avessero come proprio pantheon una panoplia composta esclusivamente da magistrati…».
E anche quando ai magistrati si aggiungono scrittori, attori e giornalisti, la musica non cambia granché. Lo si è visto, recentemente, quando il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha cercato aiuto per dare risalto agli stati generali dell’esecuzione penale, momento conclusivo di un lavoro di anni per ripensare le carceri italiane dopo la condanna della Corte europea. «Questo ministro mi è stato simpatico per telefono perché ha detto che sta tentando di parlare di detenzione e di problemi legati alla detenzione nelle trasmissioni televisive ma non se lo caca nessuno, perché dice che non fa audience», ha dichiarato Checco Zalone nel suo messaggio di saluto. E sarà pur vero che la sinistra non è mai stata garantista, ma a noi è venuto da pensare che tra tanti truci attori, scrittori e cantanti sempre pronti a invocare la forca, paradossalmente, nell’Italia di oggi, l’autentico intellettuale di sinistra sia proprio lui.

(l’Unità, 7 maggio 2016)

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