Direzione sbagliata
Facessi parte della direzione del Pd, io oggi comincerei da quel manifesto che invita a votare sì al referendum per “tagliare le poltrone” e “far lavorare gratis” i senatori. Di fronte al quale, a mio parere, le reazioni possibili sono due: non mi convince, dunque mi fa venire voglia di votare no, oppure mi convince, e allora mi fa venire voglia di votare Grillo (e quindi di votare no lo stesso, perché sto con Grillo e perché così tolgo lo stipendio a Renzi, che obiettivamente, se sono arrabbiato e mi voglio sfogare in questo modo, mi dà molta più soddisfazione che toglierlo a senatori di cui ignoro persino il volto). Aggiungerei che non so quanti voti una simile campagna possa far guadagnare, ma di sicuro so che rischia di farne perdere uno: il mio, perché penso che simili argomenti siano la malattia, non la cura, e non credo all’omeopatia istituzionale. E aggiungerei anche un’altra cosa: che si può pure riuscire a vincere le elezioni con una campagna giocata tutta sul risentimento e la rabbia contro la politica, l’establishment, la casta di Roma o i burocrati di Bruxelles, ma una volta che al governo ci sei, gli elettori si aspettano legittimamente che tu smetta di strillare e faccia qualcosa per migliorare la situazione. Dunque, che mi spieghi perché con la riforma a cui hai tanto lavorato in questi mesi le cose dovrebbero funzionare meglio, nel governo dell’Italia e di conseguenza anche nella mia vita, senza cercare altri capri espiatori e facili bersagli polemici. Altrimenti, prima o dopo, si rischia di fare tutti quanti la figura che in questo momento stanno facendo i leader della più forte campagna anti-establishment della storia recente, Nigel Farage e Boris Johnson, costretti a farsi da parte un minuto dopo la vittoria (ma del caso Raggi magari parliamo un’altra volta).