Irrazionalismi
Di fronte alle tragedie e alle calamità naturali viene fuori il peggio dell’irrazionalismo montante di questi tempi. Quello che più mi colpisce, nel vedere girare sui social network le più assurde leggende metropolitane, è che la risposta che arriva a chi faccia notare la loro palese inverosimiglianza si chiude quasi sempre con un perentorio: «Informati!». Ecco il problema: internet ha dato a tanti la falsa impressione che per capire l’essenziale di qualunque problema, dalla geologia alla finanza internazionale, sia sufficiente “informarsi”. Invece proprio la diffusione di internet, che altro non è che un meraviglioso oceano di informazioni, dimostra l’esatto contrario. E cioè che per la società, parafrasando Cipolla, il cretino informato è il tipo di cretino più pericoloso che esista.
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Un aspetto positivo e decisamente sottovalutato dell’eventuale vittoria di Donald Trump, almeno per l’Italia, è senza dubbio l’opportunità di ricollocazione che aprirebbe per tutta una serie di figure professionali – intellettuali impegnati, costituzionalisti arrabbiati, cabarettisti engagé – che la crisi del berlusconismo sta mettendo bruscamente fuori mercato da noi. E che dal giorno dopo il referendum, comunque finisca, non avranno letteralmente niente da fare. Abbiamo passato vent’anni a lamentare l’americanizzazione del nostro sistema politico e a sentirci dare lezioni di antiberlusconismo dal meglio della stampa e della cultura anglosassone in vacanza, mi sembra giusto pretendere ora un minimo di reciprocità (a scorno di tutti i complottisti, va riconosciuto che il modo in cui stanno affrontando l’ascesa del trumpismo dimostra come nei loro consigli non vi fosse alcuna malafede: infatti mi pare che stiano ripetendo una a una tutte le stronzate fatte da noi).
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Una mostra su Mark Rothko che apre domani a New York punta a sfatare l’interpretazione diffusa secondo cui «i suoi dipinti dai colori sgargianti degli anni 50 sarebbero solari e gioiosi, mentre quelli dai toni più scuri degli anni 60 rifletterebbero la sua discesa nella depressione», fin quasi a preannunciarne il suicidio. Dalle molte interessanti interpretazioni della sua opera riportate nell’articolo del New York Times – tra le quali spicca quella di Arne Glimcher, secondo il quale Rothko si sforzava di comunicare qualcosa di universale sulla condizione umana, più che su se stesso – mi pare di capire che nessuno abbia mai affacciato l’ipotesi che il «padre dell’espressionismo astratto» si fosse limitato a dipingere dei rettangoli colorati.